Sono sempre stato curioso. In particolare le domande che fin da bambino mi capita più spesso di farmi sono le classiche “da dove viene sta cosa?” o “chissà come si fa/costruisce”.
Quando ero bimbo io non esisteva internet e le ricerche utili a far capire il “perché” delle cose (o anche solo l’origine di un nome) erano particolarmente difficoltose e laboriose (soprattutto per un bambino con la sola enciclopedia della biblioteca del paese, probabilmente edita a fine anni 70). Così spesso le mie domande rimanevano senza risposta.
Adesso è tutto davvero semplice e, al netto di talune deviazioni e di qualche leone da tastiera che spesso infesta i social, io credo che internet abbia realmente messo la conoscenza (nel senso di possibilità di rispondere alle domande di cui sopra) alla portata di tutti. Non può creare da solo cultura (ed in proposito non dimentico il tagliente pensiero di Eco al riguardo) ma, sicuramente, aiuta a trovare “l’origine” di tante cose.
Come alcuni di Voi già sapranno con il Sile alto per me è stato amore a prima vista. Non passa settimana che non tormenti
CrazyMullet Federico o
nattfodd Antonio per discutere di pescate, lenze, spot e per fare autocritica sugli errori di pesca appena commessi.
Anche tale amore per il nuovo giocattolo piscatorio non poteva quindi essere immune dalla curiosità.
Per cui ho cercato di trovare risposta a quesiti che, tutto sommato, sono semplici (chissà quale è la storia di sta specie di Molino Stucky, chissà se un tempo il saltatore dell’olio cuore è passato anche di qui…
chissà perché qui dalla Nea il fiume è così largo da sembrare un piccolo “mare”).
Così cercando nel web ho recuperato – in modo parziale visto che Google ne dà solamente un’anteprima – qualche libricino che chiarisse la storia di quei luoghi che già porto nel cuore e di cui, quasi settimanalmente, cerco di tener vivo il ricordo.
Le ricerche, per forza di cose, non potevano che portarmi alle attività umane degli ultimi 110 anni che hanno così pesantemente segnato e mutato l’aspetto del Sile.
Come moltissimi di Voi già sapranno l’attuale conformazione dell’amato fiume dipende in buona misura dall’attività (selvaggia e spesso realmente sregolata) di estrazione della ghiaia. La vena, ormai esaurita, era un tempo molto florida ed il salto di qualità dal punto di vista industriale fu fatto con le draghe a vapore/motori elettrici. Molto banalmente: dal metodo di estrazione arcaico (con delle specie di secchie su lunghe aste) si era passati a meccanismi molto più efficienti e produttivi che permisero di scavare e vagliare quantità di materiale inimmaginabile solo ai primi anni del ‘900.
La cosa, come immaginabile, rendeva molto bene. E i cavatori non si facevano certo scrupoli.
Del resto intorno agli anni 20 serviva materiale per la costruzione del Ponte Littorio (ora ponte della libertà) e per l’edificazione di un nuovo centro residenziale (Marghera) a servizio dell’allora “neonata” industria chimica. La richiesta era quindi enorme e buona parte del materiale impiegato in tali opere proveniva dall’estrazione di ghiaia lungo il Sile.
Fu così che l’alveo del fiume – nell’area tra Sile e Cendon – venne letteralmente sventrato. I nuovi macchinari davano la possibilità di scavare rapidamente e a rilevanti profondità: l’alveo del fiume in taluni tratti fu allargato dagli originari 15/20 metri ad oltre 80/100 metri.
Finito il materiale dall’alveo si continuava a scavare lungo i bordi. Per cui in talune zone si formarono vere e proprie voragini poi divenute “laghi” e/o, data la diversa sensibilità ambientale, addirittura riempite in parte con “ruinassi” (scarti/rifiuti di demolizione) provenienti dalla vicina Venezia.
E qui viene la cosa che più mi ha sorpreso e più mi ha fatto sorridere.
Nell’area che va tra l’attuale cimitero dei burci e si estende fin quasi a ridosso di Cendon (in pratica dove più spesso ho lasciato la migliore parte della mia passione alieutica) il cavatore più attivo era un certo
Camillo Barina da Fiesso d’Artico (VE). La Sua impresa ebbe il “merito” di conformare il fiume – grazie a draghe davvero enormi per il tempo come la
Sile o la
Jole – dandogli l’aspetto che tutti ora conosciamo. La premiata ditta Barina ebbe svariati “meriti”: sembrerebbe essere in assoluto la più attiva del tempo (quanto meno quella che scavò i maggiori volumi di materiale: per esempio sua è la creazione della zona ove attualmente si trova il cimitero dei burci); nel periodo di massimo sviluppo dava lavoro a oltre 80 dipendenti e riuscì anche ad affrontare un primo passaggio generazionale (dal fondatore Camillo al figlio Umberto) per poi chiudere ogni attività sul finire degli anni 50.
Perché la cosa mi ha fatto sorridere?
Perché – pur non avendo alcun legame familiare a me noto – io di cognome faccio
Barina ed abito a
Fiesso d’Artico! Non so a quanti capiti di trovarsi in una simile coincidenza; peraltro il mio non è nemmeno un cognome molto diffuso!!
Insomma era proprio destino: adesso posso continuare a cappottare serenamente consapevole che ad ogni manciata di incollato restituirò al fiume una piccola parte della ghiaia che il mio antenato gli ha tolto
.
Cari saluti a tutti!
Fonti:
Sile. Alla scoperta del fiume: Immagini, storia, itinerari Camillo Pavan
Sile. La piarda di Casier: Barcari, burci, draghe e squeri Camillo Pavan
Edited by Chicco84 - 10/2/2021, 18:31