Il gran fiume dai due cuori

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Lore 66
view post Posted on 19/1/2013, 14:37




Ho cominciato e leggere molto presto da ragazzo ed uno dei primi libri "da grandi" che ho letto è stato Il vecchio e il mare :wub: già andavo con il babbo a pescare, poi lessi un altro libro di Hemingway, Isole nella corrente dove tra le altre cose si narra molto di pesca :fishing1.gif: e di cocktails :drink_nl.gif: in seguito ho letto quasi tutto dell'autore ma "piscamente" parlando come direbbe Cetto il racconto seguente tratto dal libro I racconti di Nick Adams è una delle letture che maggiormente mi sono rimaste impresse, tanto che periodicamente me lo vado a rileggere...probabilmente lo conoscete un pò tutti ma ho voglia comunque di postarlo...per me è MERAVIGLIOSO :wub: :wub: :wub: tanto che anche...quel guazzabuglio di maiale, fagioli, spaghetti e ketchup che si mangia il protagonista sembra una cosa deliziosa :roflmao: spero vi piaccia :bye1:

Il gran fiume dai due cuori

Prima parte

Il treno si allontanò lungo il binario, scomparendo alla vista dietro la collina dai tronchi bruciati. Nick sedeva sul fagotto della tenda e delle coperte che l’uomo del bagagliaio gli aveva calato giù dallo sportel¬lo. Non c’era paese, c’erano soltanto i binari e la campagna bruciata. Dei tredici negozi che si allineava¬no lungo la strada principale di Seney non era rimasta traccia. Le fondamenta dell’albergo Maison Hou¬se sorgevano dal terreno. La pietra era scheggiata e spezzata dal fuoco. Quello era tutto quanto restava del paese di Seney. Persino la superficie era scomparsa dal terreno nell’incendio.
Nick guardò il fianco bruciato della collina, dove s’era aspettato di vedere le case sparse del paese, poi s’incamminò lungo le rotaie verso il ponte sul fiume. Il fiume c’era. Formava vortici intorno ai piloni di legno del ponte. Nick guardò giù l’acqua limpida e bruna, che i sassi del fondo coloravano, e vide le trote mantenersi ferme nella corrente muovendo le pinne. Guardandole vide che mutavano posizione con an¬goli improvvisi, per mantenersi ferme nella corrente veloce. Nick rimase a guardarle per molto tempo.
Le osservò fronteggiare col muso la corrente, molte trote nell’ acqua veloce e profonda, appena defor¬mate dal fatto che egli le guardava da lontano attraverso la superficie dell’acqua, superficie convessa per la pressione esercitata contro i piloni di legno del ponte. In fondo al fiume c’erano le trote grosse. Nick non le vide subito. Poi le scorse sul fondo, grosse trote che si tenevano sul fondo di sassi, in un mi¬sto di sassi e di terriccio che la corrente sollevava a spruzzi.
Nick guardava nell’acqua dal ponte. Era una giornata calda. Un uccello pescatore arrivò in volo sul fiume. Era molto tempo che Nick non vedeva un fiume e delle trote nell’acqua del fiume. Era sempre u¬na soddisfazione. Quando l’ombra dell’uccello pescatore passò sul fiume, una grossa trota scattò contro corrente con un forte angolo, e soltanto la sua ombra segnava l’angolo, poi perse l’ombra quando com¬parve alla superficie dell’acqua, nel sole; poi, quando tornò sott’acqua; l’ombra sembrò trasportata giù sopraffatta dalla corrente fino a ridursi di nuovo sotto il ponte dove si fermò stretta accanto al pilone fronteggiando la corrente.
Il cuore di Nick batté quando la trota si mosse. Di nuovo provava le sensazioni di un tempo.
Si voltò ed osservò il fiume a valle. Si allontanava col fondo di sassi, alte rive a strapiombo ed un pro¬fondo stagno dove girava ai piedi di uno sperone.
Nick ritornò lungo le traversine fin dove il suo sacco era posato tra la cenere accanto ai binari della ferrovia. Nick era felice. Accomodò le cinghie del sacco intorno al fagotto, tirandole bene, si gettò il sacco sulla schiena, infilò le braccia nelle bretelle e liberò le spalle da una parte della tensione appoggiando la fronte contro una larga striscia di stoffa. Pure, era troppo pesante. Era davvero troppo pesante. Aveva in mano l’astuccio delle canne da pesca e chinato avanti per tenere in alto sulle spalle il peso del sacco Nick s’incamminò lungo la strada che correva parallela ai binari, lasciandosi alle spalle nel sole il paese bruciato, e svoltò poi intorno a una collina prendendo una strada che tra due colline alte e scarnite dal fuoco si spingeva verso l’interno. Camminò lungo quella strada, sentendo male per la tensione delle cin¬ghie del sacco sulle spalle. La strada si arrampicava ripida. Era faticoso camminare in salita. I muscoli gli dolevano e faceva un gran caldo, ma Nick si sentiva felice. Sentiva di aver lasciato tutto dietro di sé, il bisogno di pensare, il bisogno di scrivere, gli altri bisogni. Tutto era dietro di lui.
Dal momento in cui era sceso dal treno e l’uomo del bagagliaio gli aveva calato il sacco dallo sportello aperto del vagone tutto era stato diverso. Seney era bruciata, la campagna era bruciata e mutata, ma non importava. Non poteva essere bruciato tutto. Nick lo sapeva. Marciava lungo la strada, sudando al sole, salendo per attraversare la catena di colline che separavano la ferrovia dalla pianura dei pini. La strada continuava, con brevi tratti di discesa ma salendo sempre. Nick continuava a salire. Infine la strada dopo aver proceduto di costa sul fianco bruciato della collina raggiunse la sommità. Nick si ap¬poggiò ad un ceppo e si liberò dalle cinghie del sacco. Davanti, fin dove giungeva il suo sguardo, aveva la pianura dei pini. Il paesaggio bruciato si fermava a sinistra con la catena delle colline. Davanti, isole di pini scuri sorgevano nella pianura. Lontana a sinistra era la linea del fiume. Nick la seguì con lo sguar¬do e scorse i riflessi dell’acqua sotto il sole.
Non c’era davanti a lui altro che la pianura dei pini, fino alle colline azzurre che indicavano il Lago Su¬periore. Poteva scorgerle appena, sbiadite e distanti nella gran luce calda che sovrastava la pianura. Se le guardava troppo fisso sparivano. Ma se gettava appena uno sguardo erano là, le lontane colline del Lago Superiore.
Nick sedette appoggiandosi al ceppo carbonizzato e fumò una sigaretta. Il sacco era piazzato sul ceppo, con le cinghie pronte, ed una cavità modellata dalla schiena. Nick sedeva fumando e guardando il pae¬saggio. Non aveva bisogno di tirar fuori la cartina. Capiva dov’era dalla posizione del fiume.
Mentre con le gambe tese avanti fumava scorse una cavalletta muoversi sul terreno e cominciare ad arrampicarsi sul suo calzettone di lana. Era una cavalletta nera. Durante il cammino Nick aveva fatto saltar fuori dalla polvere della strada molte cavallette; ed erano tutte nere. Non erano le grosse cavallet¬te con ali gialle e nere o rosse e nere che in volo si protendono fuori della corazza nera per muoversi vor¬ticosamente. Erano cavallette comuni, ma tutte di color nero fuliggine. Nick camminando le aveva nota¬te, con un certo stupore, ma senza pensarci molto. Ora, guardando la cavalletta nera che cercava di ro¬sicchiare la lana del suo calzettone, comprese che diventavano nere perché vivevano nella campagna bruciata. Rifletté che l’incendio doveva esser avvenuto l’anno prima ma che le cavallette erano ancora tutte nere. Si chiese per quanto tempo sarebbero state così.
Cautamente allungò la mano ed afferrò la cavalletta per le ali. La rovesciò, con tutte le zampine che si muovevano nell’aria, ed osservò l’addome segmentato. Sì, era nero anch’ esso, ma iridescente mentre il dorso e il capo erano opachi.
“Vai, insetto” disse Nick parlando per la prima volta a voce alta. “Vola via in qualche posto.”
Gettò in aria la cavalletta e la guardò volare fino ad un ceppo carbonizzato sull’altro lato della strada.
Nick si alzò. Si appoggiò contro il peso del sacco che era in bilico sul ceppo ed infilò le braccia nelle cin¬ghie. Fu in piedi col sacco in spalla sulla cresta della collina e guardò la campagna verso il fiume lonta¬no, poi cominciò a scendere il fianco della collina abbandonando la strada. Su quel terreno si camminava bene. Duecento metri più giù, sul fianco della collina, si fermava la linea dell’incendio. Si camminava poi tra felci morbide, alte fino alla caviglia, e gruppi di pini, una lunga campagna ondulata con frequenti salite e discese, e terreno sabbioso; il nuovo paesaggio vivente.
Nick manteneva la direzione osservando il sole. Sapeva in quale punto voleva raggiungere il fiume e continuava il cammino attraverso la pianura dei pini, salendo una montagnola per vederne altre davan¬ti a sé e qualche volta dalla sommità di una montagnola vedere a destra o a sinistra una grande compat¬ta isola di pini. Colse rami di felci selvatiche e li pose sotto la cinghia del sacco: lo sfregamento li schiac¬ciò ed egli sempre camminando ne sentì il profumo.
Era stanco ed aveva molto caldo, marciando attraverso l’interminabile assolata pianura dei pini. Sape¬va di poter raggiungere il fiume quando voleva, voltando a sinistra. Non poteva essere più lontano di un chilometro. Ma continuò verso nord per arrivare sul fiume quanto più a monte fosse possibile con una sola giornata di marcia.
Per qualche tempo Nick camminando aveva scorto una delle grandi isole di pini ergersi sopra il terre¬no ondulato che attraversava. Discese e quando fu lentamente salito in cima alla montagnola voltò e si diresse verso i pini.
Non c’era sottobosco nell’isola dei pini. I tronchi degli alberi salivano diritti oppure inclinati l’uno ver¬so l’altro. Erano diritti e scuri senza rami. I rami erano in alto. Alcuni s’intrecciavano formando un’om¬bra compatta sul terreno scuro. Intorno al gruppo dei pini c’era una zona bruna. Nick la senti soffice sot¬to i piedi mentre l’attraversava. Era la continuazione del tappeto d’aghi di pino, che si stendeva oltre l’ombrello dei rami. Gli alberi erano cresciuti e i rami erano saliti in alto lasciando al sole quello spazio brullo che un tempo avevano coperto con la propria ombra. Bruscamente al margine di quella striscia cominciavano le felci.
Nick si sfilò il sacco e si sdraiò all’ombra. Rimase disteso supino e guardò i rami degli alberi. Il collo la schiena le reni di Nick si riposavano mentr’egli si stirava. Era piacevole la terra sotto la schiena. Guar¬dò il cielo attraverso i rami, poi chiuse gli occhi. Li apri e guardò di nuovo in alto. C’era vento in alto tra i rami. Chiuse di nuovo gli occhi e si addormentò.
Si svegliò indolenzito. Il sole era quasi tramontato. Il sacco era pesante e le cinghie gli fecero male quando lo sollevò. Si chinò col sacco in spalla, raccolse il fodero di cuoio delle canne ed usci dai pini at¬traversando la distesa di felci, verso il fiume. Sapeva che non poteva essere più lontano di un chilome¬tro.
Dal fianco di una collina coperta di ceppi d’albero discese in un prato. Al margine del prato scorreva il fiume. Nick fu contento d’esser arrivato al fiume. Attraversò il prato dirigendosi verso monte, i calzoni gli s’inzuppavano di rugiada mentre camminava. Dopo la giornata calda la rugiada era venuta presto ed abbondante. Il fiume non faceva rumore. Era troppo veloce e tranquillo. Al margine del prato, prima di salire su un rialzo di terreno per piantarvi la tenda, Nick guardò nel fiume le trote che affioravano. Ve¬nivano alla superficie per gli insetti che al calar del sole giungevano dalla palude posta oltre il fiume. Le trote saltavano fuori dell’acqua per afferrarli. Mentre Nick percorreva la stretta striscia di prato lungo il fiume, alcune trote erano saltate alte fuor d’acqua. Ora, mentre guardava il fiume, gli insetti dovevano essersi disposti su tutta la superficie, perché in tutta l’acqua le trote si muovevano alla conquista del
cibo. Fin dove egli poteva vedere c’erano trote che saltavano, formando circoli su tutta la superficie del¬l’acqua, come se stesse per piovere.
Il rialzo, di sabbia e d’arbusti, sorgeva a dominare il prato, il tratto di fiume e la palude. Nick mise a terra il sacco e l’astuccio delle canne e cercò uno spazio di terreno pianeggiante. Aveva molta fame e vo¬leva piantare la tenda prima di far da mangiare. Fra due pini il terreno era quasi sgombro. Nick prese dal sacco un’accetta e recise due radici che sporgevano. Ne risultava uno spazio di terreno abbastanza ampio per potervi dormire. Spianò con le mani il suolo sabbioso e strappò con le radici tutte le felci. Le mani avevano un buon odore di felci. Spianò il terreno dove aveva tolto le radici. Non voleva punti duri sotto le coperte. Quand’ebbe ben spianato il terreno distese le tre coperte. Ne piegò una in due, la prima sul suolo, e vi distese sopra le altre due.
Con l’accetta staccò una grossa scheggia di pino da uno dei ceppi e ne fece paletti per la tenda. Li vole¬va lunghi e robusti perché si conficcassero bene. Slegata la tenda e stesala per terra, il sacco appoggiato a un pino sembrava molto più piccolo. Nick legò a un pino la corda che serviva da sostegno della tenda, e ne legò l’altra estremità ad un altro albero sollevando cosi la tenda dal suolo. La tenda rimase sulla cor¬da come un lenzuolo di tela messo ad asciugare. Nick mise un palo che aveva tagliato sotto la tela e ne fece una tenda fissandone i lembi al suolo. Tirò bene la stoffa e ficcò profondamente nel terreno i paletti battendoli con la parte piatta dell’accetta finché gli anelli delle corde furono interrati e la tela tesa come un tamburo.
Sull’imboccatura della tenda Nick fissò una rete per le zanzare. Strisciando passò sotto la zanzariera con diverse cose del sacco da mettere accanto al letto sotto la tela inclinata. Nell’interno della tenda la luce filtrava attraverso la tela scura. C’era un buon odore di tela. Già c’era un che di domestico e di mi¬sterioso. Muovendosi carponi sotto la tenda Nick si sentì felice. Non era mai stato infelice, durante tutta la giornata. Questo però era diverso. Ora la cosa era fatta. C’era stata questa cosa da fare ed ora era fat¬ta. Era stata una marcia dura. Era molto stanco ma la cosa era fatta. Si era fatta la tenda. S’era piazza¬to. Niente poteva più toccarlo. Quello era un posto buono per piantare la tenda. Era lì, nel posto buono. Era in casa sua dove se l’era costruita. Ora aveva fame.
Uscì, strisciando carponi sotto la rete. Fuori era quasi buio. C’era più luce sotto la tenda.
Nick si accostò al sacco e prese, cercando con le dita, un lungo chiodo da un sacchetto di carta in fondo al sacco. Lo piantò in un pino, tenendolo con una mano e con l’altra battendo piano con l’accetta. Al chio¬do appese il sacco. Aveva nel sacco tutte le sue provviste. Ora erano sollevate da terra ed al sicuro.
Nick aveva fame. Gli pareva di non aver avuto mai tanta fame. Aprì nella padella una scatola di carne di maiale con fagioli ed una scatola di spaghetti.
“Ho ben diritto di mangiar questa roba se me la sono portata in spalla io” disse Nick. La voce risuonò stranamente nel bosco sempre più buio. Nick non parlò più.
Accese un fuoco con delle schegge di pino che con l’accetta staccò da un ceppo. Sul fuoco mise una gra¬ticola, ficcandone in terra col tacco della scarpa le quattro gambe. Sulla graticola sopra la fiamma mise la padella. Aveva sempre più fame. I fagioli e gli spaghetti si scaldarono. Nick li mescolò insieme. Co¬minciarono a friggere, facendo piccole bollicine che venivano faticosamente alla superficie. L’odore era buono. Nick estrasse una bottiglia di tomato catchup e tagliò quattro fette di pane. Le bollicine ora era¬no in numero maggiore. Nick si sedette accanto al fuoco e prese in mano la padella. Versò nel piatto di stagno metà del contenuto, che distese lentamente. Nick sapeva che era troppo caldo. Versò sopra un po’ di tomato catchup. Sapeva che i fagioli e gli spaghetti erano ancora troppo caldi. Guardò il fuoco, poi la tenda, non voleva rovinare tutto scottandosi la lingua. Per anni non aveva potuto gustare le banane frit¬te perché non era stato mai capace di aspettare che si raffreddassero. La sua era una lingua molto deli¬cata. Aveva una gran fame. Sulla palude oltre il fiume, nel buio quasi, vide levarsi la foschia. Guardò di nuovo la tenda. Bene. Prese una cucchiaiata dal piatto.
“Gesù, Gesù” disse. “Gesù, Gesù” disse felice.
Mangiò tutto il contenuto del piatto prima di ricordarsi del pane. Finì col pane il secondo piatto, pulen¬dolo perfettamente. Non aveva preso altro dopo una tazza di caffè e un panino al prosciutto al buffet del¬la stazione di St-Ignace. Era stata una bella esperienza. Già altre volte aveva avuto una fame simile ma non era stato capace di saziarla. Avrebbe potuto piantare la tenda alcune ore prima, se avesse voluto. C’erano tanti bei posti dove piantar la tenda in riva al fiume. Ma questo era buono.
Nick ficcò sotto la graticola due grosse schegge di pino. Il fuoco divampò. Si era dimenticato di . pren¬dere l’acqua per il caffè. Dal sacco estrasse un secchio pieghevole di tela e s’incamminò scendendo verso il margine del prato e verso il fiume. L’altra riva era nascosta dalla foschia bianca. L’erba era umida e fre¬sca quando egli s’inginocchiò sulla riva e immerse il secchia di tela nel fiume. Il secchio si gonfiò e la corrente lo trascinava via. L’acqua era fredda come ghiaccio. Nick sciacquò il secchie, lo portò, pieno, fi¬no alla tenda. Via dal fiume, l’acqua non era tanto fredda.
Nick estrasse un altro grosso chiodo e appese il secchio pieno d’acqua. Vi tuffò la caffettiera riempien¬dola a metà, mise dell’altra legna sotto la graticola e vi mise sopra la caffettiera. Non ricordava in che modo fare il caffè. Ricordava una discussione con Hopkins, ma non che posizione avesse preso. Decise di farlo bollire una volta. Si ricordò che quello era il sistema di Hopkins. C’era stato un periodo in cui di¬scuteva con Hopkins per qualunque cosa. Mentre aspettava che il caffè bollisse aprì una scatola piccola di albicocche. Gli piaceva aprire scatole. Vuotò la scatola di albicocche in una tazza di stagno. Guardan¬do il caffè sul fuoco, bevve lo sciroppo delle albicocche, dapprima con cura per non versarne, poi con at¬tento studio, succhiando le albicocche. Erano meglio di albicocche fresche.
Il caffè bollì mentr’egli guardava. Il coperchio si sollevò ed il caffè traboccò dal recipiente. Nick tolse la caffettiera dalla graticola. Era un trionfo per Hopkins. Mise zucchero nella tazza delle albicocche vuota e versò un po’ di caffè che si raffreddasse. Era troppo caldo da versare e Nick si servì del berretto per af¬ferrare il manico della caffettiera. Non avrebbe lasciato che si sciupasse nella caffettiera. La prima
tazza, almeno. Doveva essere in perfetto stile Hopkins. Hop meritava questo. Era sul serio un bevitore di caffè, Hopkins. Era l’uomo più serio che Nick avesse conosciuto mai. Non pesante: serio. Era una cosa di tanto tempo prima. Hopkins parlava senza muovere le labbra. Giocava al polo. Guadagnava i milioni di dollari nel Texas. Quand’era giunto il telegramma che era arrivato il primo grande serbatoio, si era fatto prestare i soldi per andare in macchina a Chicago. Avrebbe potuto telegrafare chiedendo denaro ma ci sarebbe voluto troppo tempo. La ragazza di Hopkins la chiamavano la Bionda Venere. Hop non ci badava perché non era la sua vera ragazza. Diceva in tono confidenziale che nessuno avrebbe preso in giro la sua vera ragazza. Aveva ragione. Se ne andò quando arrivò il telegramma. Questo fu sul Fiume Nero. Ci mise otto giorni il telegramma. Hopkins dette a Nick la Colt calibro ventidue. Dette la macchi¬na fotografica a Bill. Perché si ricordassero sempre di lui. Dovevano tutti andare a pescare insieme l’e¬state dopo. Hop era ricco. Doveva prendere un panfilo e tutti dovevano con lui fare la riva settentrionale del Lago Superiore. Era entusiasmabile, ma serio. Lo salutarono e restarono molto male. Guastò la gita. Non rividero mai più Hopkins. Questo era stato molto tempo prima sul Fiume Nero.
Nick bevve il caffè, caffè preparato col metodo di Hopkins. Il caffè era amaro. Nick rise. Questa poteva essere una buona fine per il racconto.
La testa cominciava a funzionare, ma Nick sapeva di poterne fare a meno perché era stanco abbastan¬za. Versò il caffè dalla caffettiera e gettò i granelli nella fiamma. Accese una sigaretta ed entrò nella tenda. Si tolse le scarpe e i calzoni, seduto sulle coperte, arrotolò le scarpe dentro i calzoni per farsi un guanciale e s’infilò sotto le coperte.
Fuori attraverso l’imboccatura della tenda osservò il bagliore del fuoco, quando il vento della notte vi soffiava sopra. Era una notte calma. La palude era silenziosa. Nick si distese comodamente sotto le co¬perte. Una zanzara gli ronzò vicino a un orecchio. Nick si sedette ed accese un fiammifero. La zanzara e¬ra sulla tela sopra la sua testa. La zanzara nella fiamma produsse un sibilo soddisfacente. Il fiammifero si spense. Nick si sdraiò di nuovo sotto la coperta. Si voltò sul fianco e chiuse gli occhi. Aveva sonno. Sentiva il sonno arrivare. Si rannicchiò sotto la coperta e si addormentò.

Seconda parte

Al mattino il sole era alto e la tenda incominciava a riscaldarsi. Nick strisciò sotto la rete per le zanza¬re tesa all’imboccatura della tenda ed uscì fuori a osservare il mattino. Uscendo sentì l’erba umida sotto le mani. Teneva in mano i calzoni e le scarpe. Il sole era appena sopra la collina. Nick vide il prato, il fiume, la palude. Vide alcune betulle nel verde della palude al di là del fiume.
Il fiume era limpido e scorreva tranquillo nel primo mattino. Duecento metri più a valle c’erano tre tronchi che sbarravano da una riva all’altra il fiume. Prima dei tronchi l’acqua era profonda e senza on¬de. Mentre Nick guardava, un visone passò sui tronchi attraversando il fiume e scomparve nella palude. Nick era emozionato. Lo emozionavano il primo mattino e il fiume. Aveva troppa fretta per far colazio¬ne, ma capiva che sarebbe stato meglio. Fece un fuocherello e vi mise sopra la caffettiera.
Mentre l’acqua si scaldava nella caffettiera, Nick prese una bottiglia vuota e scese nel prato. Il prato e¬ra umido di rugiada e Nick voleva prendere cavallette per esca prima che il sole asciugasse l’erba. Trovò molte ottime cavallette. Erano alla base degli steli d’erba, qualcuna si teneva aggrappata allo stelo. Era¬no fredde e bagnate, non potevano saltare prima di essere state riscaldate dal sole. Nick le raccoglieva, prendendo solo quelle scure di media grandezza, e le metteva nella bottiglia. Smosse un tronco e al ripa¬ro appena sotto il margine del legno c’erano diverse centinaia di cavallette. Era un albergo per cavallet¬te. Nick ne mise nella bottiglia una cinquantina, scure e di media grandezza. Mentre le raccoglieva le altre si riscaldavano al sole e cominciavano a saltare. Saltando si mettevano a volare. Dopo il primo volo atterravano rigide e restavano immobili come morte.
Nick sapeva che nel tempo in cui egli avrebbe finito di far colazione quelle cavallette sarebbero tornate vive come sempre. Senza rugiada nell’erba gli sarebbe stato necessario un giorno intero per riempire di cavallette una bottiglia ed avrebbe dovuto schiacciarne parecchie, prendendole a colpi di berretto. Si la¬vò le mani nel fiume. Lo emozionava la vicinanza dell’acqua. Poi tornò alla tenda. Le cavallette stavano già saltando nell’erba. Nella bottiglia, che il sole riscaldava, saltavano tutte insieme. Nick vi mise come turacciolo una scheggia di pino. Chiudeva abbastanza bene la bocca della bottiglia, in modo da non far scappare le cavallette ma da lasciare spazio sufficiente per il passaggio dell’aria.
Aveva rimesso a posto il tronco e sapeva che avrebbe potuto trovare cavallette in quel posto ogni mat¬tina.
Nick appoggiò ad un tronco di pino la bottiglia piena di cavallette che saltavano. Rapidamente mescolò farina di grano con acqua e girò, una tazza d’acqua e una tazza di farina. Mise nella caffettiera una manciata di grani di caffè, prese da un barattolo un pezzetto di grasso e lo spalmò sulla lastra di metallo già calda. Sulla lastra versò l’impasto di farina. Si stendeva come lava, ed il grasso friggeva. Ai margini la focaccia cominciò a diventare dura, poi scura, poi a incresparsi. Bollicine venivano alla superficie. Nick infilò sotto la focaccia un rametto fresco di pino. Scosse ai due lati la lastra e la focaccia si staccò. Non cerchiamo di farla saltare, pensò Nick. Infilò sotto la focaccia il pezzo di legno pulito e la voltò.
Quando fu cotta la prima, Nick ingrassò di nuovo la lastra di metallo. Usò tutta la farina impastata. Fece un’altra focaccia grossa ed una piccola.
Nick mangiò una delle grosse e quella piccola spalmandole di marmellata. Mise la marmellata sulla terza focaccia, poi la piegò in due, l’involtò in carta oleosa e se la mise nella tasca della camicia. Rimise nel sacco il barattolo della marmellata e tagliò pane per due sandwich.
Nel sacco trovò una grossa cipolla. La tagliò in due e pelò il primo involucro sottile. Poi afferrò una del¬le due metà e fece due sandwich alla cipolla. Li involtò in carta oleosa e se li mise nell’altra tasca della camicia kaki. Voltò sul fuoco la lastra di metallo, bevve il caffè, dolce e di un bruno giallastro per il latte condensato che conteneva; poi rimise in ordine il campeggio. Era un campeggio mica male.
Nick prese la canna da pesca dall’ astuccio di cuoio, ne unì i pezzi e rimise l’astuccio nella tenda. Siste¬mò il rocchetto e fece passare il filo attraverso le guide. Doveva passarlo da una mano all’altra, mentre lo infilava, altrimenti sarebbe stato tirato indietro dal suo stesso peso. Era un filo pesante e rinforzato. Nick l’aveva pagato otto dollari molto tempo prima. Era pesante perché fosse possibile lanciarlo lontano. Nick aprì la custodia d’alluminio delle lenze. Le lenze erano arrotolate in mezzo alla flanella umida. Nick aveva bagnato la flanella sul treno a St-Ignace. Nella stoffa umida le lenze si erano ammorbidite e Nick ne svolse una e la fissò con un cappio all’estremità del filo. In fondo alla lenza fissò un amo. Era un amo piccolo; molto sottile ed acuminato.
Nick lo prese dal libretto degli ami, stando seduto con la canna posata sulle gambe. Provò il nodo e la tensione della canna arrotolando strettamente il filo. Fu una sensazione piacevole. Fece attenzione a non pungersi il dito con l’amo.
S’incamminò verso il fiume con la canna in mano e la bottiglia delle cavallette appesa al collo con un laccio. Alla cintola teneva appesa la rete. Sulla schiena aveva un lungo sacco da farina legato agli angoli con una corda che gli passava sopra le spalle. Il sacco gli batteva sulle gambe.
Con tutto quell’equipaggiamento su di sé Nick si sentiva impacciato e professionalmente felice. La bot¬tiglia delle cavallette gli batteva sul petto, La colazione e il libretto degli ami gli gonfiavano le tasche della camicia.
Entrò nell’acqua. Fu un colpo freddo. I calzoni gli aderivano alle gambe. Sotto le scarpe sentiva la ghiaia. L’acqua era un colpo freddo, prolungato.
La corrente premeva contro le gambe di Nick. Dov’era entrato, l’acqua gli arrivava alle ginocchia. Nick camminò seguendo la corrente. Sentiva la ghiaia fuggire sotto le scarpe. Guardò i mulinelli che l’acqua formava intorno a ciascuna delle sue gambe e stappò la bottiglia per prendere una cavalletta.
La prima cavalletta saltò al collo della bottiglia e cadde in acqua. Fu succhiata nel mulinello presso la gamba destra di Nick e ricomparve alla superficie un po’ più a valle. Galleggiava veloce, muovendo le zampe. In un circolo improvviso che ruppe la superficie liscia dell’acqua, scomparve. Era stata presa da una trota.
Un’altra cavalletta mise la testa fuori della bottiglia. Agitò le antenne. Stava mettendo fuori le zampe anteriori per spiccare il salto. Nick la prese per la testa e la tenne ferma mentre le infilava l’amo sotto il mento facendolo passare attraverso il torace e giungere fino agli ultimi segmenti dell’addome. La caval¬letta afferrò l’amo con le zampe anteriori sbavando un sugo color tabacco. Nick la tuffò nell’acqua.
Tenendo la canna con la destra mollò del filo alla cavalletta portata dalla corrente. Con la sinistra svolse del filo dal rocchetto e lo lasciò libero: vedeva la cavalletta sulle piccole onde della corrente. Poi sparì alla vista.
Sentì uno strappo al filo. Nick tirò. Era il primo colpo. Tenendo contro corrente la canna ora viva, riti¬rò il filo con la mano sinistra. La canna si curvava a scatti, come la trota puntava contro corrente. Nick capiva che era una trota piccola. Sollevò diritta la canna, che si curvò per la tensione.
Vide nell’acqua la trota puntare a scatti col muso e col corpo contro la mutevole tangente del filo nel fiume.
Nick prese con la sinistra il filo e tirò alla superficie la trota che si dibatteva estenuata contro corren¬te. Aveva il dorso colore chiaro dell’acqua tra i sassi, i fianchi luccicavano al sole. Con la canna sotto¬braccio Nick immerse nell’acqua la mano destra. Tenne con la mano bagnata la trota che guizzava e staccò l’amo dalla bocca del pesce e lo lasciò ricadere nel fiume.
La trota oscillò nella corrente, poi si fermò sul fondo dietro un sasso. Nick allungò la mano per toccar¬la, infilando nell’acqua il braccio fino al gomito. La trota era immobile nel fiume in movimento, se ne stava sulla ghiaia dietro un sasso. Quando le dita di Nick la toccarono, toccarono il suo senso di tran¬quillità e di freschezza sott’acqua, la trota guizzò e scomparve, veloce come un’ombra sul fondo del fiu¬me.
Sta benone, Nick pensò. Era soltanto stanca.
Si era bagnato la mano prima di toccare la trota in modo da non rovinare il muco delicato che la copri¬va. Se si tocca una trota con la mano asciutta, un fungo bianco attacca il punto rimasto senza protezio¬ne. Anni prima quando pescava su fiumi frequentati, con pescatori a monte e a valle di lui, a Nick era capitato moltissime volte di trovare trote morte, pelose per il fungo bianco, portate alla deriva contro u¬na roccia oppure galleggianti col ventre in aria in qualche stagno. A Nick non piaceva pescare quando c’era altra gente sul fiume. A meno che fossero della vostra comitiva, rovinavano tutto.
Camminò nel fiume, immerso nell’acqua fino alle ginocchia, traversando i cinquanta metri di acqua bassa prima della diga di tronchi che sbarrava il fiume. Non rimise l’esca sull’amo e lo tenne in mano mentre camminava. Nell’acqua bassa sapeva di poter prendere trote piccole ma non le voleva. Non pote¬vano esserci trote grosse nell’acqua bassa a quell’ora.
L’acqua divenne più alta, fredda intorno alle cosce. Davanti a lui c’era il flusso compatto dell’acqua ol¬tre i tronchi. L’acqua era scura e senza onde; a sinistra c’era la riva bassa del prato; a destra la palude.
Nick puntò i piedi contro corrente e prese una cavalletta dalla bottiglia. Infilò la cavalletta sull’amo e ci sputò sopra per scaramanzia. Poi mollò dal rocchetto parecchi metri di filo e lanciò la cavalletta nel¬l’acqua scura e veloce. La cavalletta galleggiò verso i tronchi, poi il peso del filo tirò l’esca sott’acqua. Nick tenne nella mano destra la canna, lasciando scorrere tra le dita il filo.
Sentì un lungo strappo. Nick tirò e la canna diventò viva, si piegò in due, col filo pericolosamente teso. Nick sapeva in che momento la lenza poteva spezzarsi per l’aumento della tensione e mollò filo.
Col rocchetto quasi vuoto, sentendo il cuore fermo per l’emozione e puntando i piedi nell’acqua gelata che gli arrivava alle cosce, Nick cercò di fermare il rocchetto col pollice. Non era facile tenere il pollice in¬filato nel rocchetto.
Mentre Nick cercava di tirare, la tensione aumentò improvvisamente e una grossa trota saltò fuori dell’acqua. Vedendo il salto Nick abbassò l’estremità della canna. Ma sentì mentre l’abbassava che la tensione era troppo forte. Logicamente la lenza si rompeva. Non c’era da sbagliarsi quando il filo
diventava rigido e asciutto. Poi improvvisamente si allentò.
Con la bocca secca e il cuore in gola Nick ritirò il filo facendo girare il rocchetto. Non aveva mai visto una trota così grossa. Aveva un tal peso, una forza ed un volume tale che non si poteva frenare mentre saltava. Pareva grossa come un salmone.
A Nick tremava la mano, mentre riavvolgeva lentamente il filo. L’emozione era stata troppo forte. Egli si sentì vagamente a disagio, come se avesse voglia di mettersi seduto.
La lenza s’era rotta dov’era attaccato l’amo. Nick la prese in mano. Pensò alla trota chissà dove sul fondo, che si teneva giù sulla ghiaia, lontano dalla luce sotto i tronchi, con l’amo in bocca. Nick sapeva che l’amo si sarebbe piantato irrimediabilmente nel palato della trota. Ci avrebbe scommesso che la tro¬ta era infuriata. Si sarebbe infuriata qualunque cosa che fosse di quelle dimensioni. Che trota. Ancorata forte. Come uno scoglio. Uno scoglio pareva, prima che si liberasse. Per Dio, se era grossa. Per Dio, era la più grossa che avesse mai sentito.
Nick si arrampicò sul prato e rimase in piedi, con l’acqua che gli scorreva dai pantaloni e dalle scarpe. Andò a sedersi sui tronchi. Non voleva affrettare le proprie sensazioni.
Mosse le dita dei piedi nell’acqua dentro le scarpe ed estrasse una sigaretta dal taschino della camicia. L’accese e gettò il fiammifero nell’acqua che scorreva veloce sotto i tronchi. Una minuscola trota venne a galla per prenderlo e gli girò intorno nella corrente. Nick rise. Prima voleva finire la sigaretta.
Rimase seduto sui tronchi, fumando, lasciandosi asciugare al sole, il sole caldo sulla schiena, il fiume basso prima d’infilarsi curvando tra i boschi, grandi scogli lisciati dalle acque e luccicanti al sole, cedri lungo la riva e betulle bianche, i tronchi tiepidi al sole lisci da starei seduti, senza corteccia, grigi da toc¬care; lentamente il senso di disillusione gli passò. Scomparve lentamente, il senso di disillusione seguito al momento d’emozione che gli aveva fatto dolere le spalle. Ora tutto era passato. La canna posata sui tronchi, Nick legò alla lenza un amo nuovo, fissandolo con un nodo molto stretto.
Mise l’esca, poi prese la canna e si diresse versa l’altra estremità dei tronchi per scendere nel fiume dove l’acqua non era troppa profonda. Sotto i tronchi c’era una stagno profondo. Nick fece il giro nell’ac¬qua bassa costeggiando la palude e ritrovandosi sul letto poco profondo del fiume.
Sulla sinistra, dove finiva il prato e incominciavano i boschi, c’era un grande olmo sradicato. Caduto durante un temporale, era disteso nel bosco, con le radici piene di melma e di erba, formando una riva compatta per il fiume. Il fiume scorreva in margine all’albero sradicato. Nick dal punto dov’era scorgeva solchi fondi come carreggiate che la corrente aveva scavato nel letto del fiume. Dov’egli stava il fiume e¬ra piena di ciottoli; dove il fiume girava intorno alle radici dell’albero il letto era melmoso e tra i solchi scavati nel fondo si muovevano con la corrente ciuffi d’erba verde.
Nick appoggiò sulla spalla e spinse avanti la canna, e il filo lanciato avanti depose la cavalletta su uno dei solchi profondi tra l’erba. Abboccò una trota e Nick tirò.
Tenendo la canna puntata versa l’albero caduto e indietreggiando nella corrente Nick manovrò la trota tirandola fuori dal pericolo delle erbe nel fiume aperto. Tenendo la canna che si agitava come viva con¬tro corrente Nick tirò la trota, che si dibatteva ma lentamente si avvicinava; la punta della canna s’im¬pigliava nell’erba, ogni tanto scompariva sott’acqua, ma sempre tirava. Nick indietreggiò e tenendo la canna alta sopra il capo guidò la trota sopra la rete, poi la sollevò.
La trota era pesante nella rete, aveva il dorso screziato ed i fianchi argentei tra le maglie. Nick la stac¬cò dall’amo; fianchi grossi, facili da tener con la mano, grandi mandibole. La fece scivolare nel lungo sac¬co che dalle spalle gli pendeva in acqua.
Nick aprì incontro alla corrente la bocca del sacco che si riempì gonfiandosi d’acqua. Lo sollevò, la¬sciandone la parte inferiore nel fiume, e l’acqua si versò dai fianchi. Dentro sul fondo c’era la grossa tro¬ta, viva nell’acqua.
Nick si mosse verso la valle. Il sacco gli pendeva pesante dalle spalle in acqua.
Cominciava a far caldo, sentiva il sole scottare sulla nuca.
Nick aveva preso una trota buona. Non gl’importava di prenderne molte. Ora il fiume era ampio e poco profondo. C’erano alberi su entrambe le rive. Gli alberi della riva sinistra gettavano ombre corte nella corrente al sole di mezzogiorno. Nick sapeva che in ciascuna di quelle ombre c’erano trote. Nel pomerig¬gio, quando il sole sarebbe andato verso le colline, le trote sarebbero state nelle ombre fresche dell’altra parte del fiume.
Le più grosse stavano distese molto vicine alla riva. Era sempre lì che si pigliavano sul Fiume Nero. Quando il sole era tramontato tutte si spostavano nella corrente. Proprio quando il sole rendeva acce¬cante l’acqua col suo bagliore prima di tramontare, era quello il momento in cui in qualunque punto del fiume si potevano prendere trote grosse. Era quasi impossibile pescare allora, la superficie dell’acqua e¬ra accecante come uno specchio di sole. Naturalmente si poteva pescare in mezzo al fiume, ma in un fiu¬me come il Nero, o come questo, bisognava camminare contro corrente in un punto profondo, e l’acqua vi premeva addosso. Non era divertente pescare in mezzo al fiume con una corrente tanto forte.
Nick camminava sul fondo basso cercando buchi profondi presso le rive. Un faggio cresceva accanto al fiume, protendendo i rami sull’acqua. Il fiume si spingeva un pezzo sotto le foglie. Quelli erano posti do¬ve c’erano sempre trote.
Nick non aveva voglia di pescare in quel buco. Era sicuro di restare impigliato nei rami.
Sembrava profondo, però. Nick lasciò cadere la cavalletta in modo che la corrente la portasse sott’ac¬qua, sotto i rami sporgenti. Il filo si tese e Nick tirò. La trota si dibatteva violentemente, fuor d’acqua a metà tra le foglie e i rami. Il filo s’impigliò; Nick tirò forte e la trota fu libera. Nick riavvolse il filo e te¬nendo l’amo in mano, si mosse verso valle.
Davanti a lui, presso la riva sinistra, c’era un grosso tronco. Nick vide che era cavo; la corrente vi en¬trava liscia, con piccole crespe soltanto ai due lati del tronco. L’acqua si faceva più profonda. La superfi¬cie del tronco cavo era grigia ed asciutta. Il tronco era quasi tutto all’ombra.
Nick tolse il turacciolo alla bottiglia delle cavallette. Una cavalletta rimase afferrata al turacciolo. Nick la prese, l’infilò sull’amo, e lanciò l’amo in acqua. Tese avanti la canna in modo che la cavalletta galleggiando sulla corrente entrasse nel tronco cavo. Ci fu un forte strappo. Nick tirò in senso contrario. Sembrava che l’amo si fosse impigliato nel legno del tronco, se non ci fosse stata una sensazione di cosa vivente.
Nick cercò di trascinare il pesce nella corrente, e faticosamente vi riuscì.
Il filo si allentò improvvisamente e Nick credette che la trota si fosse staccata. Poi la vide, molto vicina nella corrente, scuotere il muso cercando di liberarsi dall’amo. Teneva la bocca serrata e si dibatteva at¬taccata alla lenza nell’acqua limpida in movimento.
Tenendo il filo con la sinistra Nick girò la canna per tendere il filo e cercò di tirare verso la rete la tro¬ta, ma questa scomparve alla vista tirando a strappi il filo. Nick manovrò contro corrente, facendo in modo che la trota si portasse presso l’estremità della canna. Poi passò la canna nella mano sinistra, tra¬scinando la trota la fece entrare nella rete. La sollevò dall’acqua, semicerchio pesante nella rete, la rete gocciolante, la staccò dall’amo e la mise nel sacco.
Spiegò l’imboccatura del sacco e guardò le due grosse trote, vive néll’acqua.
Camminando nell’acqua sempre più profonda, Nick si diresse verso il tronco cavo. Si tolse il sacco sfi¬landolo dalla testa, le trote si dibattevano uscendo dall’acqua, e lo appese in modo che le trote restassero ad una buona profondità. Poi si tirò sul tronco e si sedette, dalle scarpe e dai calzoni gli scorse l’acqua del fiume. Depose la canna, si spostò verso l’estremità in ombra del tronco, ed estrasse dalla tasca della camicia i sandwich. Bagnò i sandwich nell’acqua fredda. La corrente trascinò via le briciole. Mangiò i sandwich e riempì d’acqua il cappello per bere, l’acqua scorreva dal cappello mentr’egli beveva.
Faceva freddo all’ombra, seduti sul tronco. Nick tirò fuori una sigaretta e sfregò un fiammifero per ac¬cenderlo. Il fiammifero affondò nel legno grigio, graffiandolo. Nick si chinò da un lato, cercando un pun¬to duro ed accese il fiammifero. Rimase seduto fumando ed osservando il fiume.
Più avanti il fiume si stringeva ed entrava in una palude. Il fiume diventava liscio e profondo e la pa¬lude appariva fitta di cedri, tronchi vicini e rami intrecciati. Non era possibile camminare in una palude come quella. I rami crescevano troppo in basso. Bisognava camminare quasi a fior di terra per potersi muovere. Attraverso i rami non ci si poteva far strada. Per questo forse gli animali che vivono in palude sono fatti così, Nick pensò.
Avrebbe voluto aver portato qualcosa da leggere con sé. Aveva quasi voglia di leggere. Non aveva vo¬glia di entrare nella palude. Osservò il fiume. C’era un grosso cedro che sbarrava il fiume. Oltre quello il fiume entrava nella palude.
Nick non aveva voglia di entrarci. Pensava con disagio al cammino da compiere nell’acqua profonda, con l’acqua alle ascelle, per prendere trote grosse in posti dov’era impossibile portarle a terra. In palude le rive erano spoglie, i grandi cedri si univano stretti sopra il capo, il sole non batteva che a macchie; nella penombra e nell’acqua fredda e veloce la pesca avrebbe preso un tono tragico. Pescare in palude e¬ra un’avventura drammatica. Nick non ne aveva voglia. Non aveva più voglia per quel giorno di scende¬re in acqua.
Estrasse il coltello, lo apri e lo piantò nel tronco. Poi tirò a sé il sacco, vi frugò dentro e tirò fuori una delle trote. Tenendola presso la coda, difficile da tenere, viva, in mano, la sbatté sul tronco. La trota con un fremito s’irrigidì. Nick la posò all’ombra sul banco e spezzò nello stesso modo il collo all’altro pesce. Le dispose l’una accanto all’altra sul tronco. Erano belle trote.
Nick le pulì, aprendole dal ventre alla bocca. Tutte le interiora uscirono in un blocco solo. Erano due maschi; lunghe strisce grigiastre di latte, lisce e pulite. Tutte le interiora erano pulite e compatte, u¬scendo fuori insieme. Nick gettò i rifiuti sulla riva dove li avrebbero trovati i visoni.
Lavò le trote nel fiume. Mentre le teneva nell’acqua sembravano pesci vivi. Il loro colore non era anco¬ra scomparso. Nick si lavò le mani e le asciugò sul tronco. Poi posò le trote sul sacco disteso sul tronco, ve le involtò, legò il rotolo e lo mise nella rete. Il coltello era ancora con la lama piantata nel tronco. Nick lo pulì sul legno e se lo mise in tasca.
Si alzò in piedi sul tronco, tenendo in mano la canna e la rete pesante alla cintola, poi entrò nell’acqua e venne a riva. Tagliando attraverso i boschi si diresse verso la montagnola. Tornava alla sua tenda. Si voltò a guardare. Il fiume si scorgeva appena tra gli alberi. C’erano ancora tanti di quei giorni per pe¬scare in palude.
 
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view post Posted on 19/1/2013, 15:29
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Meglio carpe che capre!

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Grazie per avermi fatto rileggere un racconto che avevo quasi smarrito nella memoria.
Ricordo che, alla prima lettura, il passaggio che mi rimase più impresso fu
"Nick le pulì, aprendole dal ventre alla bocca. Tutte le interiora uscirono in un blocco solo. Erano due maschi; lunghe strisce grigiastre di latte, lisce e pulite. Tutte le interiora erano pulite e compatte, u¬scendo fuori insieme. Nick gettò i rifiuti sulla riva dove li avrebbero trovati i visoni."
Non ho mai saputo perché, so solo che queste parole mi son tornate in mente tutte le volte che ho fatto la stessa cosa lungo i torrenti, anche se sui torrenti dove pescavo non c'erano i visoni.
Un racconto vero, di chi e per chi conosce la pesca e la ama nei suoi aspetti più intimi e viscerali, anche se talvolta un po' crudi.
Un racconto che sa di un mondo che forse non c'è più; ed è un grosso peccato.
 
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view post Posted on 19/1/2013, 17:58
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Um pe' ad sugnê...

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Me lo sono letto tutto d'un fiato!

Fantastico!... ci si sente proiettati dentro il racconto attraverso le parole :prega: :prega:
 
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view post Posted on 19/1/2013, 21:16
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Pierlu

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Questo racconto non lo conoscevo, e mi stavo perdendo qualcosa di valore
 
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Bruno Angelo 1953
view post Posted on 19/1/2013, 21:44




Solo un grande pescatore può scrivere un racconto di pesca così :clap1: :clap1: :clap1: ed "Il vecchio e il mare",anche se il mio preferito rimarrà sempre"Per chi suona la campana".
 
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Piero Muccioli
view post Posted on 5/2/2013, 21:05




CITAZIONE (Bruno Angelo 1953 @ 19/1/2013, 21:44) 
Solo un grande pescatore può scrivere un racconto di pesca così :

Che fosse un grande scrittore, non c'è dubbio. che fosse un grande pescatore, ho dei dubbi
Del resto il vecchio Ernest, ha scritto della morte senza essere morto
 
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view post Posted on 5/2/2013, 21:29
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CITAZIONE (Piero Muccioli @ 5/2/2013, 21:05) 
il vecchio Ernest, ha scritto della morte senza essere morto

Ne conosco pochissimi che hanno scritto della morte essendo morti! :lol: :lol: :lol:

P.S. Scusa, non volevo essere scortese, ma questo è stato un assist imperdibile!
Ci piace molto scherzare e far battute... :)
 
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Piero Muccioli
view post Posted on 5/2/2013, 22:42




Io non ne conosco nemmeno uno che abbia scritto della morte da morto
ciò non toglie che ci sia chi parla di sesso e di famiglia non avendo (dicono) mai fatto una cosa o avuto l'altra
 
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view post Posted on 17/4/2020, 18:03
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scusate se riapro il topic ma.....quanta nostalgia <3 ....

la prof. di Italiano in primo superiore ce lo fece leggere......davvero bellissimo...lo ripropongo e consiglio a tutti per distrarsi un pò da questo periodo buio.....

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view post Posted on 18/4/2020, 00:10
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CITAZIONE (Luca-Krst @ 17/4/2020, 19:03) 
scusate se riapro il topic ma.....quanta nostalgia <3 ....

la prof. di Italiano in primo superiore ce lo fece leggere......davvero bellissimo...lo ripropongo e consiglio a tutti per distrarsi un pò da questo periodo buio.....

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Hai risvegliato in me qualche ricordo, di quando l’ho letto la prima volta e di quando l’ho aggiunto nella bibliografia della mia tesina agli esami di maturità (azz son già passati quattro anni)... improntata, ovviamente, sul mare e sulla pesca. :D
Potevo non citare Hemingway?
 
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view post Posted on 18/4/2020, 19:07

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Grazie di averla riproposta.Splendida lettura....di altri tempi...così come lo era l'autore....tempi non più possibili da rivivere perché il mondo è cambiato tantissimo...ma vita vissuta,ed alla grande,da Ernest, direi vita spericolata fino alla sua tremenda fine.
 
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view post Posted on 19/4/2020, 15:24

IL PRESIDENTE PENSIONATO A TEMPO PIENO IN CERCA DEL BIG

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Lettura molto interessante :thumbup: Grazie di averla postata
 
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view post Posted on 19/4/2020, 19:21
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Atleta di "rango" (sigh!) del fu Long Casting Latina VINTAGE ADMIRER [ già ma.si.sa.]

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Come si chiama il pescatore?
 
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