Posts written by Marco Lucchetti

view post Posted: 1/12/2023, 10:46 Nuova Daiwa tournament dal Giappone - Attrezzature
Ho letto con la dovuta attenzione il susseguirsi di post su questa canna.
Ci sono opinioni diverse e pareri contrastanti, come è giusto che sia.
Io personalmente, però, non ho capito un aspetto che secondo me è fondamentale e che nessuno ha spiegato: perchè queste bolognesi costano così tanto?
Da un punto di vista realizzativo quali elementi tecnologici fanno la differenza?
Se prima non arriviamo a chiarire questo aspetto, secondo me, non riusciamo a tirare fuori da questa discussione nulla di realmente costruttivo.
Tralasciando gli aspetti puramente soggettivi ed emozionali (che io per primo conosco bene), sarebbe molto utile, ad esempio, effettuare un paragone tra le attuali Amorphous od, ancora meglio, tra le Tournament "normali" e queste saette divine per capire dove stanno i valori aggiunti.
O forse mi sbaglio?
view post Posted: 3/5/2023, 06:23 Nuova Daiwa tournament dal Giappone - Attrezzature
Da quello che ho potuto sapere le canne vengono vendute nude.
view post Posted: 4/3/2023, 10:25 NUOVA ROUBASIENNE - Attrezzature
Se posso permettermi, io personalmente mi terrei stretta la Stradivari.
Ad oggi e' ancora migliore di tante canne attuali ...
view post Posted: 28/1/2023, 14:31 Daiwa cygnus - Attrezzature
Il Daiwa Morethan lbd e' un mulinello da imperatori bizantini, da sultani dell'Oman !!!
Deve essere qualcosa di incredibile ...
view post Posted: 23/3/2022, 09:29 Quesito per esperti - Esche e Pasturazione
Il quesito che poni, secondo me, non è di facile soluzione.
Posso solo dirti la mia impressione personale alla luce della mia conoscenza del prodotto e del suo utilizzo.
Il Brasem, di per se', è un additivo per pasture inizialmente utilizzato in Olanda ed in Belgio soprattutto per il carp fishing e consiste in un sottoprodotto derivante dalla macinazione della polpa di cocco (od anche degli agrumi secchi), che vengono ridotti in una farina molto sottile di colore giallo scuro, simile a quello dell'ottone (brassen in olandese significa appunto ottone).
Questa farina, dall'aroma evidentemente fruttato, può essere utilizzata nella sua versione originale, oppure nella versione addizionata con ulteriori prodotti dalla alta carica glucidica come il caramello, dando luogo al Touche (o Brasem Caramel), oppure con spezie simili alla curcuma, dando luogo al cosiddetto Brasem belga, noto anche come Unix. Questi blend si utilizzano in acque fredde e tendenzialmente trasparenti, soprattutto nel periodo autunnale ed invernale.
Il Brasem, infine, può essere unito anche ad una farina di frutta specifica come, ad esempio, quella di fragola, dando luogo ad un Brasem di colore rosa, molto dolce e dal potere legante meno accentuato rispetto alle altre tipologie descritte e questo prodotto può essere usato anche in primavera ed in estate ed in acque più opache.
In ogni caso il Brasem nasce come prodotto destinato a selezionare la taglia delle breme, anche se qui da noi è stato inizialmente adoperato per insidiare i carassi di taglia e, solo negli ultimi anni, per il suo scopo originale.
Si tratta di un prodotto non particolarmente legante, direi quasi neutro da questo punto di vista, che si accompagna piuttosto bene con pasture scariche dal punto di vista nutrizionale ed olfattivo.
Può essere anche unito direttamente alla terre de somme od alla double terre ed, in questo caso, i maestri del Belgio, hanno creato una tipologia specifica di Brasem, addizionato con la farina di mandorle, che sembra essere il prodotto migliore in assoluto unito con fouilles e vers de vase.
Il Brasem, per quello che ho potuto appurare e per la mia esperienza personale, non dovrebbe essere utilizzato con pasture al formaggio o con alte componenti di carboidrati come pane, pastoncino, biscotto, farina di arachidi, di carrube, di castagne, pastoncino ed altri ingredienti simili e non dovrebbe mai essere unito con altri additivi.
Il dosaggio, infine, sempre a mio avviso personale, deve essere sempre molto cauto, nell'ordine dei 150 grammi per chilo al massimo.
Per quanto sopra, posso dirti che Brasem e Touche sono prodotti simili, ma non uguali; non ritengo che uno sia migliore dell'altro, sono semplicemente di prodotti destinati ad usi tendenzialmente diversi, nel senso che ambedue sono rivolti alle breme ed, in misura minore ai gardon, ma vanno utilizzati in contesti e periodi tra loro diversi.

Edited by Marco Lucchetti - 8/6/2022, 09:33
view post Posted: 10/3/2022, 17:28 Ballistic X LT o Caldia LT - Attrezzature
CITAZIONE (Psychosexy78 @ 7/3/2021, 23:07) 
Secondo me il problema di tutti questi mulinelli è uno solo....frizione con drag esagerata , 10/12 kg ....ormai è risaputo che sono mulinelli sa da spinning che noi adattiamo sulla bolognese. E la cosa che mi fa girare le scatole è che se si da un occhiata al catalogo daiwa per il mercato giapponese è che ci sono modelli con drag molto bassi ( 5kg) , invece qui o 10/12kg o ti butti sugli usati di 10 anni fa.

A mio modesto parere il max drag non deve mai essere confuso con la morbidezza o la progressività della frizione poichè, meccanicamente parlando, non esiste una progressione inversa tra max drag e fluidità.
Non è infatti vero in assoluto che più alto è il max drag e minore è la fluidità.
Tanto per fare un esempio, un mulinello con max drag 10 Kg. ben può essere molto più fluido e progressivo di un altro mulinello con max drag inferiore.
La fluidità è un fattore risultante dalla composizione e dal numero dei dischi, nonchè dalla loro modalità di lubrificazione; mentre il max drag è la risultante della struttura e della potenza della molla di compressione dei dischi e del suo meccanismo di attivazione e modulazione e, più in particolare, dal passo più o meno lungo della vite del perno di settaggio.
view post Posted: 28/12/2021, 11:26 MULINELLI A BOBINA CHIUSA - Tutorial e Recensioni
Grazie Massimo,
non osavo inserirlo nei tutorial.
🤣🤣🤣
view post Posted: 26/12/2021, 13:10 Anelli Fuji Farzlite - Attrezzature
Il tradename corretto e' Fuji Fazlite, forse e' per questo che nel forum non hai trovato riscontri.
view post Posted: 24/12/2021, 18:39 MULINELLI A BOBINA CHIUSA - Tutorial e Recensioni
Sono totalmente d'accordo con te Sandro, pensa che bel mulinello che sarebbe; oltretutto risparmieremmo tutti in termini di santioni, elargiti a piene mani quando quei tre dannatissimi cilindretti di plastica si rompevano, spesso sul piu' bello.
view post Posted: 24/12/2021, 18:04 MULINELLI A BOBINA CHIUSA - Tutorial e Recensioni
Grazie Sandro, il 125M lo adopero anche io con piacere: ha i suoi limito ma, a mio avviso, e' un gran mulinello.
view post Posted: 24/12/2021, 14:44 MULINELLI A BOBINA CHIUSA - Tutorial e Recensioni
Lo scritto che segue è stato pubblicato quasi un anno fa su un altro forum a me particolarmente caro.
Visti i tempi (non solo metereologici), viste le costrizioni presenti e, spero di sbagliarmi, quelle dell'imminente futuro, credo che in queste feste di Natale potrà interessare a qualcuno passare qualche istante a casa propria immerso in una lettura insolita e, mi auguro, piacevole.
Se non il risultato, spero apprezzerete lo sforzo: io ce l'ho messa tutta.
Come sempre, le vostre impressioni ed obiezioni sul contenuto, sono ben accette.
Auguri di cuore a tutti, per tutto ciò che più desiderate.



I MULINELLI A BOBINA CHIUSA
The “Coffee Grinders”



Il venerdì sera, per il sottoscritto, è un momento particolare: lo studio legale che dirigo è vuoto, i colleghi sono altrove con le loro famiglie; anche mia moglie ha raggiunto i ragazzi a casa e tutte le varie scadenze sono state evase, od almeno così mi sembra.
Sono solo a studio il venerdì sera e, come sempre, celebro in un silenzio inconsueto per il luogo, la liturgia della chiusura: controllo la sala riunioni, accosto le porte delle varie stanze ma, prima di chiudere il portone ed inserire l’allarme, mi intrattengo sempre qualche istante presso l’armadio di legno scuro della sala d’aspetto.
Nessuno dei colleghi, tranne mia moglie, conosce il contenuto di quell’armadio.
Apro gli sportelli centrali e scelgo, più o meno a caso, una delle piccole scatole che contengono i miei mulinelli.

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Non sono i miei “Magnifici Sette” DAIWA Certate 3012H-13, parte dell’arsenale con cui facevo le gare e che ora stanno attaccati alle varie canne all’inglese sempre pronte nell’archivio di studio …

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Non sono neppure i due DAIWA Morethan Branzino che, con tanti sacrifici, sono riuscito ad acquistare e neppure il particolarissimo DAIWA Steez Type II che tanto mi piace e che, con tanto scrupolo, ho fatto modificare per renderlo uno strumento di morte nelle pesche light ed ultra light con l’inglese e, quando capita, anche con la bolognese.
Non sono mulinelli all’ultimo grido ed, anzi, all’apparenza, sono solo vecchi mulinelli a bobina chiusa, tutti della ABU, ad eccezione della caratteristica triade dei DAIWA degli anni ’80 e di qualche altra piccola divagazione sul tema.

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Malgrado questo (o, forse, proprio per questo) ci sono molto affezionato, sia perché ognuno di essi mi riporta ad un periodo e a delle circostanze del passato (ed, in particolare, a quell’età incerta e sospesa tra il "non più" ed il "non ancora", che solo chi ha fatto l’Università conosce) e sia anche perché ognuno di essi mi ha trasmesso, e continua a trasmettermi, delle emozioni profonde ed intense a pesca, che nessun altro dei miei mulinelli (quelli che ho ancora e quelli che non ho più) ha mai più saputo regalarmi.
Ecco che, come ogni venerdì sera li osservo, ne prendo uno a caso e ripenso a quando e dove lo ho acquistato (oppure lo ho vinto in uno degli innumerevoli sfidini "one to one", che facevo tanti anni fa con i miei amici-avversari) ed in quante pescate mi ha accompagnato.
Il libro dei ricordi, per un attimo, si apre su una pagina che mi porta sul Liri a caccia di cavedani, oppure sugli argini di qualche canale sperduto della pianura pontina o, magari, sulle rive del Tevere o dell’Arno a Firenze, od a Peschiera del Garda la prima volta che ci ho bagnato una lenza, pochi mesi o chissà quanti anni fa.
Questi sono i miei “momenti di trascurabile felicità”: li conosciamo tutti ma, spesso, ne dimentichiamo l’essenza più profonda: sono quei piaceri intensi ed effimeri che scoviamo negli interstizi delle nostre giornate e che ne accendendo pochi istanti, con la luce calda e suadente della sorpresa gradita ed attesa.
I pochi attimi del venerdì sera appartengono proprio a questi piaceri intimi e familiari soltanto a noi pescatori, che fanno riflettere sul fatto che la felicità si annida proprio in quei minuscoli ed, all'apparenza, insignificanti frammenti del giorno che, se osservati nella giusta prospettiva, si rivelano come forzieri ricolmi di grandi verità e con i quali afferriamo, anche solo per un attimo, il senso più profondo e bello della vita.
Mentre ripongo il mulinello nella sua custodia e sto per ritornare nel “mondo dei vivi”, mi viene ogni volta da chiedermi per quale oscuro motivo, da molti, troppi, anni a questa parte nessuna delle case costruttrici di mulinelli abbia più investito risorse, neppure residuali, nello sviluppo e nella commercializzazione di mulinelli a bobina coperta tecnologicamente al passo con i tempi.
Questo interrogativo mi appare ancora più inspiegabile se messo in correlazione con il fatto che, proprio i mulinelli a bobina coperta, noti come “closed-face reels” oppure, come “encolsed reels”, oppure, in maniera tecnicamente più corretta, come “half-encapsulated reels”, abbiano avuto un successo a dir poco clamoroso in tutta Europa, negli anni ruggenti della pesca sportiva in acque interne ed, in particolare, nel match & coarse fishing a cavallo tra l’inizio degli anni ’60 e la fine degli anni ’80.

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Qui potete vedete all'opera Ivan Marks con il suo inseparabile ABU 506M.
Un uomo straordinario ed un campione indiscusso, vero faro della pesca sportiva agonistica in U.K. a cavallo tra gli anni '70 ed '80.

A ben vedere, infatti, la tradizione legata all’utilizzo agonistico e ricreativo, in acque interne, dei mulinelli a bobina chiusa per la pesca al colpo nasce con le prime applicazioni e distribuzioni sul mercato europeo, più o meno nella prima metà degli anni ’60, del concetto innovativo (anche se già applicato a partire dagli anni cinquanta, nello spinning, soprattutto in U.S.A.) di proteggere la bobina del mulinello, chiudendola in una campana protettiva, con il duplice scopo di ridurre drasticamente le fuoriuscite accidentali di monofilo e di consentire l’utilizzo nella pesca al colpo, di nylon molto sottili, in abbinamento con lenze molto leggere.
L’idea di fondo, a mio modo di vedere, è stata frutto dell’iniziativa tecnica ed imprenditoriale, principalmente della ABU.
La fabbrica di Svangsta, infatti, mutuando le soluzioni tecniche di alcuni modelli americani da spin-cast e da bait-casting (tra i quali, mi piace ricordare non solo l’ormai introvabile SOUTH BAND Futura 202, ma anche i precursori da spinning americani della JOHNSON SABRA, modelli 110A, 130B, 710A e 710B, nelle varianti Normal e Century e la versione in graphite 545, od anche il BRONSON Wildcat 804, od i pregiati JOHNSON Citation e Commander, od anche il curioso WRIGHT MC GILL, modello Eagle Claw 104, un mulinello americano… di fabbricazione giapponese!), ha progressivamente adattato i propri modelli da spinning a bobina chiusa della Serie 100, con utilizzo under-spin, fino a creare l’autonoma ed innovativa categoria di mulinelli a bobina chiusa.
Questo processo evolutivo era finalizzato ad un utilizzo razionale ed appropriato dei mulinelli, dapprima in abbinamento con le match-rod e, successivamente, anche con le bolognesi e le canne per la pesca alla trota in torrente con esche naturali.
In questo senso, la svedese ABU si è profusa, negli ultimi quarant’anni del secolo scorso, in uno sforzo ingegneristico e commerciale nel settore dei closed-face reels ben più che rilevante rispetto a qualunque altra azienda costruttrice.
E’ pur vero che, per una disamina comparata della evoluzione dei closed-face reels, bisogna guardare anche ad alcune fondamentali produzioni di storiche aziende inglesi. In proposito, penso, ad esempio, alla MILWARD, con il suo elegantissimo Swimmaster ed alla SHAKESPEARE, con i suoi due leggendari modelli Match 2020 e 2660 Match International, prima serie ed MK2, mulinelli nati per essere abbinati alla storica match rod SHAKESPEARE Polyestel Alpha International ed alle successive, più moderne e famosissime SHAKESPEARE Aurora Match, Falvia Match ed Aerial Match, quest’ultima, a mio avviso, davvero splendida nella sua accattivante cosmetica viola.
In particolare, lo SHAKESPEARE Match International aveva la caratteristica di essere interamente realizzato in Giappone (sia nella versione originaria con rapporto di recupero 3.8:1 e sia nella versione MK2, ulteriormente migliorata e con rapporto di recupero 4:1).
A proposito di quest’ultimo mulinello, vero orgoglio della SHAKESPEARE ed apprezzatissimo dai match anglers inglesi e non solo, mi piace mettervi a conoscenza di un vero e proprio mistero: l’azienda inglese OLYMPIC, proprio in quegli anni (parliamo della seconda metà degli anni ‘70), mise in commercio un mulinello a bobina coperta, l’OLYMPIC BM3, assolutamente identico in tutto e per tutto allo SHAKESPEARE Match 2020, ad eccezione della dicitura "Made in England".
Nessuno è mai riuscito a dare una spiegazione valida a tale incomprensibile concorrenza confusoria (così direbbero gli avvocati più preparati), peraltro pienamente accettata dalla SHAKESPEARE, che mai nulla ebbe a che ridire in proposito.
L’unico dato certo è che l’OLYMPIC non era nuova ad iniziative del genere: se osservate con attenzione un altro suo modello di closed-face reel per lo spin cast, l’OLYMPIC Streamer 350, vedrete delle imbarazzanti somiglianze con la campana dell’ABU 506 e con la star drag dell’ABU 505 …
Per completezza di indagine occorre rilevare anche che, proprio in quegli anni, anche la casa tedesca DAM aveva contribuito ad aprire la strada verso i mulinelli a bobina coperta, sviluppando un’idea preconizzata sempre da una fabbrica tedesca di mulinelli molto poco nota e che aveva per prima dato alla luce un mulinello a bobina chiusa per l’impiego nella pesca al colpo (la NORIS, con il proprio modello Perfeckt, seguìta, di li a poco, dalla svizzera RECORD, con il suo pregevole e per l'epoca modernissimo modello 700 HI, addirittura provvisto di un sistema di lever brake).
La tedesca DAM, infatti, basandosi sullo schema meccanico delle proprie quattro classiche serie tradizionali 110, 270, 330 e, soprattutto, 550, ancora provviste del tradizionale archetto, aveva sviluppato una propria personale ed innovativa concezione di mulinello closed-face, attraverso la progressiva evoluzione, in particolare, delle quattro releases della fortunatissima serie Quick (parliamo, quindi, dei DAM Match Winner 2 e, soprattutto, dei DAM Quick, nelle versioni CTE, CFM - con due varianti: una a frizione posteriore e l’altra senza frizione - CFS e CFA).
Qui sotto, potete osservare il DAM CFS, un mulinello che, a prima vista, potrebbe addirittura fare tenerezza ma che, in realtà, costituisce, a mio avviso, un caposaldo nello studio dello sviluppo dei modelli a bobina chiusa: era soprannominato "the catch-machine", od anche "the perfect match reel".
Mai soprannomi furono più indicati: abbiamo davanti un mulinello per molti versi avveniristico e rivoluzionario, semplice nella sua realizzazione con materiali di primissimo ordine e maledettamente affidabile: doppio pick up pin in acciaio inox cromato, sistema snap-in di estrazione della bobina, front cover in policarbonato trasparente (mutuata dai "nonni" DAM Automatic 267 e 268), frizione posteriore super smooth a tre giri e mezzo di regolazione, antireverse silenziato, manovella ambidestra, avvolgimento a spire incrociate e recupero di 88 centimetri per giro di manovella.
Se non vi piace il recupero veloce potete acquistare la variante CFM Match con recupero di 70 centimetri e se, invece, siete votati alle catture over size, allora potrete rivolgere le vostre attenzioni alla versione CFA, dotata di ingranaggi power gearing.

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Dal canto suo, invece, la svedese ABU, come detto, aveva sviluppato una serie progressiva di adattamenti ai propri modelli da spinning e da bait-casting, partendo dallo schema tecnico delle serie ABUMATIC 120, 160 e 170 (tutti dotati del sistema di svincolo del monofilo Accu-Cast, mutuato dal JOHNSON 160 Accu-Cast, il cui schema costruttivo sarà posto alla base di moltissimi modelli, non solo ABU), modificando nel tempo il proprio tradizionale modello ad archetto Cardinal 44 Svangsta, anch’esso dotato di una ampia coppa di protezione della bobina che, comunque, rimaneva aperta e servita dall’archetto tradizionale.
Da questo processo di ricerca, adattamento e sviluppo, sono nate tutte le numerose e fortunatissime serie di mulinelli a bobina chiusa ABU:
Si inizia con la mitica Serie 500, con i modelli originari: 501, 503, 505, 506, 506M e 507, che sono stati in auge dal 1962 fino alla metà degli anni '80 almeno, come è stato magistralmente ricordato nel curatissimo volumetto "The ABU 500 Series", di James Partridge e Martin Stone, del quale consiglio caldamente l'acquisto e la lettura. Proprio in questa pubblicazione sono, infatti, dettagliatamente inventariate tutte le particolarità della Serie 500, partendo dalla produzione classica

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e, successivamente, arrivando ai modelli 503 e 520

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Quello che, invece, non vedrete in questa pubblicazione è la versione "special edition" del rarissimo ABU Black Max: il particolarissimo e vistoso ABU Gold Max 507 MK2

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e le due riedizioni MK2, attualmente ancora in commercio, del 506 MK2 (e del suo fratello maggiore 507 MK2

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Alla Serie 500 seguì, in ordine di tempo, la raffinata e, per certi versi, modernissima Serie 600 (con i pregevolissimi modelli Diplomat 601, 601M, noto anche come Equa Match, Diplomat 602, noto anche come Equa Power e 602M), i quali sono stati presi a modello per una loro sfacciata copia, che si è tradotta nel mulinello SPINCAST pp 866 di una non meglio individuata azienda.

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Successivamente, venne commercializzata la elegante e funzionale Serie 700 (con i notevoli e sottovalutati modelli Premier 704 e Premier 706 che, pur non brillando per una meccanica ineccepibile, sono comunque modelli apprezzabili),

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anche se, cronologicamente, fu prima realizzata la Serie 800 (con i Diplomat 843 e Diplomat 844 che, tecnicamente ed esteticamente, sono la mera riedizione della fortunata Serie 600).

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I modelli della Serie 600 e, soprattutto, della Serie 800 furono concepiti per pesche light ma, per esperienza diretta, posso dirvi che sono molto validi anche nel caso di catture over size ...

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Da ultimo, la ABU decise di chiudere in bellezza la produzione di closed-face reels con il suo capolavoro di genere: il sofisticatissimo ed implacabile ABU GARCIA Syncro Match 1044

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Tutti i mulinelli ABU sin qui passati in rassegna hanno fatto, negli anni, la felicità dei match-anglers di tutta Europa proprio a cavallo tra gli anni ’60 ed ’80 ed, in particolare, hanno contribuito a generare la legenda dei c.d. "Trentmen", una generazione di fenomenali match anglers inglesi che perfezionarono tutte le moderne declinazioni della pesca all'inglese, da quella ultra light, allo slider, allo stick float.
Tra le possibili fotografie dei vari campioni della pesca nel Trent, ho selezionato una immagine di alcuni componenti della mitica società dei Barnsley Black (ancora oggi ai vertici dell'agonismo inglese ed internazionale grazie ai suoi validi componenti, tra i quali ha un posto fisso ormai da tempo anche un certo ... Alan Scotthorne): allora erano giovanissimi, ma certamente riconoscerete Tom Pickering e Denis White

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Questi mulinelli, che io ritengo ormai solo un complemento indispensabile ai moderni mulinelli ipertecnologici a bobina aperta (con i quali, tecnicamente, ogni e qualsiasi paragone sulla resa meccanica è ad dir poco impossibile), ancora fanno bella mostra di sé nei tradizionali reel cases dei pescatori all’inglese ed a passata più affezionati al vintage di qualità, come il sottoscritto:

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Ritornando al tema che ci interessa ed a riprova della bontà e della estrema praticità dei closed-face reels, sotto potete vedere una preziosa immagine, tratta dalla rivista Tight Lines, che ritrae l'immortale ed allora giovanissimo campione del mondo inglese Kevin Ashurst, con la sua fedele match rod, corredata dall'immancabile ABU 506: un grande classico! Soffermatevi un attimo a leggere l'articolo, troverete i preziosi consigli di Kevin per utilizzare al meglio l'ABU 506 su una match rod.

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Quasi contemporaneamente, anche le prime versioni dei gloriosi CRACK e CONTACT francesi iniziarono ad essere commercializzate sul mercato europeo, con un successo pari, se non superiore, a quello dei DAM e degli ABU, seppure confinato geograficamente all’Italia ed alla Francia.
Ma quella dei CRACK, dei CONTACT e dei TACT è una storia che merita di essere raccontata a parte e soltanto da chi li adopera abitualmente e se ne intende sul serio ed io ... non appartengo a questa categoria.

Dalla metà degli anni ’80, visto il crescente riscontro commerciale, non solo in ambito agonistico, anche altre case europee, copiando più o meno spudoratamente i modelli ABU, iniziarono a commercializzare dei closed-face, come ad esempio la SILSTAR, con il pur modestissimo Match Graphite MG 29.
Anche i giapponesi iniziarono presto a darsi a fare nel settore dei closed-face reels: la RYOBI, basandosi sullo schema meccanico del proprio modello da spin-cast Dynafish 100A, immetteva sul mercato il suo primo modello a bobina chiusa Mastermatch CF1 e, subito dopo, il notevole Techno Match CF100 e, per finire, il Leverspin, un bobina coperta munito di leva di combattimento, che costituisce l’adattamento per la pesca match & coarse del modello RYOBY Graphite Underspin, prodotto per il mercato americano dello spin-cast.
Sùbito dopo arrivò il colosso giapponese ISUZU (tutt’ora leader mondiale nella fabbricazione delle bobine per mulinelli) di cui parleremo più diffusamente nel prosieguo, il quale distribuì sul mercato europeo il pregevole e raro modello Manbow 550.
Anche il colosso DAIWA, a partire dalla fine degli anni ’70, aggredì in maniera massiccia il mercato dei closed-face reels, con il suo famosissimo modello Synchromatic 125M (che riprende, per molti versi tecnici ed estetici, proprio l’ISUZU Manbow 550), ancora oggi incredibilmente a catalogo

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e frutto dell’evoluzione di due modelli precedenti, anch’essi di grande successo ed appositamente progettati per la pesca all’inglese (stick float e trotting): parliamo degli Harrier 120M e 123M:

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Ricordatevi che proprio questi tre mulinelli, all’epoca, equipaggiavano le coetanee match rods DAIWA più belle di sempre ed, al riguardo, mi piace ricordare in particolare il fatto che avevano equipaggiato anche le storiche DAIWA Harrier Match, firmate dall’immortale “campione del popolo” Ivan Marks ed utilizzate anche dai suoi fenomenali “Likely Lads”.

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Proprio parlando dei DAIWA Harrier, mi viene in mente un altra caratteristica propria di alcuni closed-face reel: l'assenza della frizione.
Ora, con riguardo, ad esempio, al DAIWA Harrier 123, notiamo che questa versione era appositamente stata ideata senza alcuna frizione ma, nel passato, acquistando mulinelli ABU in U.K., non era infrequente vederne alcuni che, sebbene concepiti con la frizione, ne erano sprovvisti in quanto il suo proprietario aveva intenzionalmente provveduto a rimuoverla.
E' proprio quello che mi è successo quando mi arrivò, direttamente dalla mani di un agonista delle Midlands, il mio attuale ABU 507: bello nuovo all'apparenza ... ma senza frizione ... e, per di più, anche con un bel giro di nastro isolante sulla front cover.
Su quest'ultimo aspetto mi sono scervellato, senza riuscire a trovare una giustificazione plausibile finchè, leggendo il preziosissimo e meraviglioso libro di Jim Baxter, "The Rising Antenna", mi sono casualmente imbattuto in questa fotografia (con allegata didascalia esplicativa) e nella quale, neanche a farlo apposta, il mulinello in questione è proprio un ABU 507.
Mistero svelato: espediente da praticoni ma, dannatamente efficace; come non averci pensato prima!

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Sempre rimanendo in tema di adattamenti estemporanei, vi faccio vedere anche un'altra iniziativa degli anglers inglesi che, nella loro continua ricerca di "soluzioni pratiche e veloci" (basta una lima ed un po' di applicazione), hanno trovato un sistema davvero insolito per avere il controllo totale della frizione: le immagini parlano da sole !!!

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Continuando nella nostra piccola disamina storica, per ragioni a me del tutto ignote, la SHIMANO decise, invece, di non imbarcarsi mai nella realizzazione e commercializzazione di un closed-face reel per il match & coarse fishing, pur continuando a distribuire i suoi onestissimi modelli per utilizzi under-spin e spin-cast.
In Italia, se escludiamo la commercializzazione delle varie releases dei CONTACT (Luxor, Crack, Contact e Tact), importate dall’azienda MILO e lo sfortunato e sottovalutato modello Contact 4000, fatto produrre direttamente dalla MILO, soltanto la lungimirante SARFIX, con i due pregevoli ed innovativi modelli 2000 (nelle due versioni a recupero lento ed a recupero veloce, ambedue realizzate nel 1985) e Royal Project 2000 (realizzato nel 1992 ed affettuosamente soprannominato "la bomba a mano" per via del suo aspetto), ha calcato con pieno merito il difficile ed affascinante palco dei closed-face reels.
Dopodichè: buio completo … o quasi …

Questa piccola e superficiale carrellata, interessante, a mio avviso, per cercare di avere l’esatta dimensione di cosa sia realmente stato il fenomeno dei closed-face reels, mi riporta all’interrogativo iniziale sul perché questa tipologia di mulinelli sia da tempo confinata al ristretto mercato dei patiti del genere e non sia più considerata, a mio avviso a torto, come un mercato degno di investimenti nella ricerca e nello sviluppo di modelli avanzati da affiancare (e non sostituire), come complemento ideale, ai tradizionali mulinelli moderni a bobina aperta.
Mentre penso a dare una risposta sensata a questa domanda, mi passano davanti agli occhi gli innumerevoli vantaggi che un mulinello a bobina coperta possiede rispetto ad un normale mulinello: basta osservare la storica Serie 500 della ABU, nei cui modelli possiamo apprezzare tutti i tratti distintivi di un closed-face reel.

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Pur con le dovute differenze del caso, infatti, in tutti i modelli della Serie 500 ritroviamo peculiarità progettuali e realizzative comuni, non solo alle Serie ABU successive ma, più in generale, anche a tutti i mulinelli a bobina coperta commercializzati in Europa.

I) Realizzazione di chassis metallici molto compatti, resistenti e dal design non particolarmente aggraziato, coronati da un front cover, cioè da una campana metallica o polimerica di ampio diametro (motivo per cui gli inglesi avevano affibbiato ai closed-face reels lo scherzoso soprannome di “coffee grinders”, cioè di “macinini da caffè”).

II) Sistema di rilascio del filo mediante la rotazione all’indietro della manovella, che libera il pick up pin in acciaio inox cromato od, in alcune serie, addirittura in ceramica (pick up pin singolo nella Serie 500, oppure doppio, come nel 507 Gold Max MK2 e nella Serie 700) e posto sotto la campana.

III) Manovelle corte, generalmente di lunghezza ricompresa tra i 5 centimetri (nel 520), passando per i 5,5 centimetri (nel 1044) ed arrivando fino ai 6,5 centimetri (nel 508) e dotate di un pomello piccolo, progettato per essere guidato da pollice ed indice della stessa mano, con lo scopo di massimizzare la presa immediata del filo e di garantire sensibilità e velocità assolute nel recupero.
Le manovelle con braccio corto, inoltre, rendono particolarmente sensibile il recupero e non sbilanciano il mulinello quando sottoposto a recuperi veloci.

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Quella che vedete qui sopra è la manovella del Gold Max 507 MK2: si tratta del primo tentativo in assoluto di bilanciamento dinamico applicato ad un mulinello a bobina chiusa.
Questo sistema darà vita al fenomeno delle double handles, le doppie manovelle che hanno fatto la fortuna di DAIWA e SHIMANO, che le applicheranno a tutti i loro mulinelli match & coarse e che sono tuttora apprezzatissime dai match anglers soprattutto inglesi, i quali le utilizzano anche oggi sui loro Team Daiwa X e sui loro TDR e TDZ.

IV) Utilizzo di materiali pregiati per la meccanica interna (drive gears in ottone, pignoni in acciaio inox, gruppi frizione a dischi in feltro-metallo), abbinati ad un criterio costruttivo molto semplice ed affidabile, a tal punto che l’ABU 505, caso unico nella storia, veniva venduto addirittura con una lifetime warranty. Su tale particolare caratteristica, molto spesso sento dire dai detrattori dei closed -face reels che la meccanica di questi attrezzi sia obsoleta e non performante, se non proprio grossolana.
Questo rilievo, a mio avviso, non coglie completamente nel segno: sulle qualità della meccanica bisogna, infatti, operare dei seri distinguo: la Serie 500 ha una componentistica di primissimo ordine ancora oggi ed il progetto cinematico posto alla base di questi mulinelli, udite udite, non è poi molto diverso da quello dei mulinelli attuali ed, anzi, in molti casi, il sistema di trasmissione principale (main gear-main pinion) è assolutamente identico, anche negli attuali modelli top-end giapponesi più gettonati.
Parlare di progresso tecnologico, quindi, è innegabile, ma solo se rivolgiamo la nostra attenzione ai sistemi di costruzione della meccanica interna, alla introduzione dei sistemi ausiliari (silenziamento del moto, imbobinamento a spire incrociate, profilo delle bobine etc.) ed alla introduzione di materiali più rigidi e leggeri come l'alluminio 6065, oppure i polimeri carbo-resinosi come ad esempio, lo zaion od il Cl4 ed al perfezionamento dei sistemi di segregazione della meccanica interna che, oggettivamente, oggi sono molto migliorati rispetto ... al nastro isolante (che, pure, fungeva bene allo scopo e ... costava decisamente meno, ad esempio, del mag sealed).
Per affermare a buon diritto la obsolescenza o la approssimazione meccanica di un closed-face reel pertanto, bisogna analizzare caso per caso e modello per modello, perchè se tale rilievo può essere vero per alcuni modelli e per alcune marche, di certo non lo è, ad esempio, per ABU, oppure DAM, od anche RECORD o per SHAKESPEARE e senz'altro non lo è per i due citati modelli della italiana SARFIX.

Entrando nei dettagli realizzativi, notiamo che tutti i mulinelli della Serie 500 avevano ruote di comando perfettamente dimensionate ed inserite in un complesso meccanico molto semplice e fluido e ridotto davvero all’essenziale (pensate che i modelli della Serie 500 si compongono di meno di 50 parti complessive ... tanto per fare un raffronto, l’ultimo DAIWA Exist ne ha circa 120) e, quantunque fosse costituito da accoppiamenti meccanici precisi e molto performanti, era privo tuttavia di cuscinetti, di pulsanti di sblocco dell’antiritorno, di sistemi di schermatura e di silenziamento del moto, di traslabilità ambidestra della manovella (a tal fine fu distribuito il modello 508 che è identico al 507, ad eccezione della manovella che è posta a destra).
A riprova della particolare attenzione e cura nella progettazione di questi mulinelli mi piace ricordare che, in alcuni lotti della prima versione dell’ABU 501 - commercializzata circa fino al 1978 - era presente un piccolo ma fastidioso difetto nell’accoppiamento tra la drive gear, il drag washer ed il conical spring washer, che generava un malfunzionamento intermittente della trasmissione con la manovella.
Constatato tale difetto, ABU riprogettò interamente i pezzi incriminati (parts 9570, 5753 e 9372), eliminando definitivamente il difetto costruttivo e consegnando all’eternità tutti i mulinelli della Serie 500, ivi compreso il 503, che costituiva la versione più economica della Serie 500 assieme al 520 (identico in tutto e per tutto al 503, ma riservato al mercato americano e, per questo, marchiato ABU Garcia).
Qui sotto, potete vedere il dettaglio dello schema meccanico della Serie 500: semplicità, razionalità ed affidabilità assolute.

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Questo schema meccanico è stato utilizzato su tutte le Serie ABU, a partire dal 503 e fino al 1044: notiamo che, in oltre 30 anni, poco o nulla è cambiato nel sistema di trasmissione e trasformazione del moto da rotatorio in alternato.

V) Sistema di sblocco del recupero del filo mediante un pulsante centrale allocato in posizione frontale, connesso alla manovella multifunzione particolarmente corta e massiccia e realizzata in modo apparentemente semplice.
Con questo sistema coordinato e grazie al menzionato piede del mulinello particolarmente corto, usando soltanto l’indice della mano destra (e, nel 508, realizzato solo per i mancini, con l’indice della mano sinistra), è possibile, rilasciare il filo dal pulsante centrale in testa alla campana di protezione, controllare il lancio ed il rilascio del filo in corrente, guadinare il pesce in sicurezza evitando i rischi di slamatura o rottura legati alle fughe dell’ultimo secondo: parliamo del misconosciuto ma fondamentale comando one-touch handle.

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VI) In questo ambito di controllo totale si inserisce armonicamente il sistema frizione radiale con setting posto direttamente sulla manovella (sul 505, il primo modello della Serie 500 commercializzato in ordine di tempo, possiamo ammirare la inconfondibile star drag direttamente mutuata dall’ABU Matic 170, corrispettivo modello da spin cast).

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Proprio il sistema frizione ABU costituisce molto probabilmente il segno maggiormente caratterizzante non solo della Serie 500 ma, in generale, di tutti closed-face reels prodotti nel tempo dalla ABU.
La frizione ABU, nella Serie 500 (e, come abbiamo visto, con l’eccezione del primo modello commercializzato, il 505), si avvale del fortunatissimo sistema Syncro Drag che, sarà ulteriormente perfezionato dando vita al sistema Auto Syncro, munito di dischi al teflon, che equipaggerà il 506, il 507 ed il 508 e, soprattutto, la Serie 600 e che si caratterizza per la sua posizione radiale rispetto al main pinion (anche sarebbe meglio definirlo semplicemente pinion, poiché non ci sono alberini controrotanti), inserito nella manovella e governato da un sistema di settaggio variabile, mediante un pomello girevole che aziona un sistema di frizione, micrometrica od a vite progressiva, a seconda del modello.

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Il sistema Syncro Drag, che ha contribuito in maniera determinante all’affermazione degli ABU closed-face reels, consente lo sblocco della frizione con un semplice movimento della manovella all’indietro, impedendo la rottura del filo in caso di improvvise partenze del pesce.
Nei modelli tradizionali il pacco frizione è costituito da dischi in feltro, ma, nel modello Abumatic Premier 506 MK2 il dispositivo Syncro Drag è associato, invece, ad un pacco frizione che beneficia di dischi carbon matrix e, nel modello Abumatic Premier 507 MK2, un ulteriore upgrade consente di beneficiare (per la prima volta) del Syncro Drag, associato ad una frizione con regolazione micrometrica, nonché alla possibilità di disinserire l’antiritorno con un semplice gesto del dito, agendo sul pulsante posto subito sopra all’alloggiamento della manovella.
Il sistema Syncro Drag/Auto Syncro, che consente di avere “the drag in the handle”, rappresenta, a tutt’oggi, una intuizione davvero geniale e molto attuale, tanto che ha equipaggiato anche lo splendido ABU 1044, a mio avviso il migliore di tutti insieme all’impareggiabile 506M ed è presente anche su alcuni moderni mulinelli a tamburo rotante ABU come, ad esempio, nell’Alphamar LC Syncro, nel quale il sistema Syncro Drag consente di cambiare la regolazione della frizione senza perdere i settaggi, semplicemente ruotando la manovella di 1/3 di giro in un movimento anti orario, che determina una diminuzione di circa il 50% della pressione di trascinamento.
Il sistema Syncro Drag ebbe un riscontro talmente positivo tra i match anglers inglesi che la SUNDRIDGE mise in commercio il fortunato (ma meccanicamente mediocre) closed-face reel denominato Taurus 500 Match, che era appunto dotato di un sistema Syncro praticamente identico a quello ABU.
E’ curioso dover rilevare come il sistema Syncro Drag fu tanto utilizzato nei closed-face reels, quanto praticamente del tutto ignorato sui mulinelli classici, con pochissime eccezioni, tra le quali vorrei ricordare il sottovalutato RYOBI 2000.
Questo mulinello di grande qualità meccanica, commercializzato nel 1981 sotto la dicitura completa di RYOBI 2000 Dyna Fight Series, ha delle particolarità che meritano di essere ricordate: è il primo ad utilizzare il sistema no-line twist ed è l'unico mulinello tradizionale che, quando scatta la frizione, non fa ruotare la bobina, ma la fa solo oscillare. Inoltre, questo mulinello è l'unico tra tutti quelli tradizionali che io conosca ad utilizzare il sistema Auto Syncro ed è uno dei pochissimi mulinelli dell'epoca ad essere provvisto di un rullino guidafilo maggiorato ed in ceramica.

VII) Sistema di imbobinamento realizzato attraverso la rotazione della placca, sulla quale veniva montato il pick up pin (tecnicamente nota come winding cup, front cover, oppure come spool cover) e che sovrastava la bobina: nella Serie 500, infatti, la bobina rimaneva ferma durante l’avvolgimento del filo, mentre nelle Serie successive, a partire dalla Serie 600, la bobina ruotava avvolgendo direttamente il filo.
L’avvolgimento del filo, in queste tipologie di mulinello, grazie anche al tradizionale basso rapporto di recupero di questi mulinelli (di solito pari a 3,2:1 con qualche felice eccezione, come nel 506M, il mulinello perfetto per le competizioni, in cui il gear ratio sale a 4:1 per un recupero di circa 60 centimetri per giro di manovella), merita un piccolo approfondimento.
All’epoca questo rapporto (che era dichiarato come “super fast retrieve”, circostanza questa che oggi ci fa sorridere) consentiva un avvolgimento del monofilo, specie di diametro sottile e sottilissimo, assolutamente perfetto perché il nylon rimaneva sempre protetto dalle intemperie e, soprattutto, dal vento e dalla pioggia e, grazie alla possibilità di variare in diretta il settaggio della frizione (tranne che nei modelli 503, comunque dotato di Preset Syncro e nel 501), anche l’usura del monofilo risultava assai ridotta.
L’imbobinamento avviene materialmente attraverso la rotazione del pin (od, addirittura, di due pin in alcuni modelli), mentre la fuoriuscita del nylon è resa scorrevole dal rim in acciaio spazzolato, oppure lucidato, della campana di protezione. L’estrema difficoltà di creare grovigli è garantita anche dai profili delle bobine sagomati, con collars in nylon flessibile e, nei modelli successivi, con la famosa ciniglia che ritroveremo poi nei DAIWA ed in alcuni CONTACT.
Unica raccomandazione: non caricate mai le bobine fino all’orlo, perché il nylon potrebbe incastrarsi tra la coppa che incorpora il pin e la campana esterna di protezione.

VIII) Taglia generalmente doppia e produzione di un modello destinato espressamente al match & coarse (tranne che nel modello 1044, in cui la taglia ed il modello è unico).

IX) Attenzione particolare alle esigenze dei match anglers.
Contrariamente a quanto, di fatto, siamo costretti a fare oggi e cioè a dover adattare modelli da spinning alle esigenze della pesca all'inglese ed alla bolognese, quasi tutti i modelli closed-face dell'epoca erano stati concepiti con un occhio di gran riguardo verso gli utilizzi agonistici.
In questo senso, ad esempio, i modelli 501 e, soprattutto, 505 e 506M sono considerati come versioni match special, appositamente concepite per rispondere alle esigenze dei pescatori all’inglese (pensate che il 505 aveva addirittura il soprannome di “the championship reel”: in questo modello, il primo in ordine di tempo ad essere commercializzato nel 1962, la bobina rimane sempre fissa ed, in tale modo, sia nell'avvolgimento del filo e sia nel combattimento con il pesce è sempre scongiurato il rischio di ingarbugliamento del monofilo. Da sottolineare che, sempre il 505, aveva anche un cross wind oscillation system ideato per evitare il c.d. burying del filo (sovrapposizione accidentale delle spire del monofilo).
Leggendo le locandine pubblicitarie dell’epoca, viene evidenziato che il 505 era il mulinello ideale per essere abbinato alle canne da spinning ABU, modelli Suecia 330 e 340 ed Atlantic 375.
Eccola qui una rarissima foto della mitica ABU Suecia, con la sua caratteristica ed inconfondibile etichetta oro lucido, che ha fatto letteralmente impazzire i pescatori di mezza Europa:

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Faccio questa piccola notazione di colore per rilevare una tendenza dell’epoca, comune non solo alla ABU, di effettuare delle combo: cioè creare delle canne e, poi abbinarvi dei mulinelli specifici.
L’ABU 506, invece, aveva la caratteristica finitura charcoal grey, per garantire il perfetto abbinamento cromatico con la indimenticabile match rod ABU Mark 5 Zoom Tipped Match, per l’epoca, una bella 13 ft. con vetta spliced).

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La dotazione comprendeva infatti bobine match, il citato superfast retrieve, il sistema Auto Syncro ed il dispositivo ausiliario di pre-set della frizione, che verrà utilizzato (in una versione ancora più evoluta, nota come dual drag e formata da due pomelli: uno della frizione vera e propria e l’altro dello strike set), sempre dalla ABU, anche sui famosi ABU Cardinal Strikeset SS3 e, poi, anche sul famoso Cardinal Graphitanium 653 GT (i quali, a loro volta, avevano ereditato la tecnologia presente sugli innovativi ABU 853, 853 GTX ed 854).

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Ricordatevi di questo modello, prima di affermare che SHIMANO sia stata effettivamente la prima ad introdurre la Dual Drag sugli Aero e, successivamente, sugli Stradic GTM e sui Twin Power …

Questi mulinelli, in particolare il 505, il 506M e le Serie 600 e 700, hanno realmente fatto la storia della pesca al colpo in Europa: pensate che negli anni ’80, il 90% degli U.K. Internationals, cioè degli agonisti rappresentativi le nazionali inglesi, gallesi, scozzesi ed irlandesi, utilizzava esclusivamente questi tre modelli di mulinelli, con i quali hanno potuto vincere a mani basse in tutta Europa.
Qui sotto potete ammirare una vera chicca rubata da internet: l'ABU 506 originale del campione inglese Ian Heaps, abbinato alla sua match rod, la mitica Silstar Match Graphite, che ha mietuto vittime in mezza Europa negli anni '70 ed '80

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A proposito di campioni: forse vi ricordate come andò a finire il Mondiale per Nazioni a Firenze del 1985.

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Se riguardate le fotografie dell’epoca, avrete una conferma di quello cui ho appena accennato e, non a caso, il mio idolo di sempre, Milo Colombo, cui toccò in sorte di avere come vicino di picchetto l’allora 36enne Dave Roper (che ritornò in patria con la medaglia d’oro individuale al collo, pescando con la sue fidate SILSTAR Diaflex Kevlar Match 420, equipaggiate con i suoi ABU 506M), da quel giorno si convinse, ancor più radicalmente, a pescare all’inglese solamente con i suoi adorati CONTACT Express, abbinati suggestivamente alle intramontabili Team NORMARK Titan 2000 … quando si dice “la classe n’est pas d’eau” …
(Per inciso: Dave Roper, nel 1985, pur avendo gareggiato solo la domenica, vinse comunque l’oro anche a squadre con il Team England e, nel prosieguo, oltre a confermarsi un fortissimo pescatore, soprattutto con la roubasienne, dimostrò di essere anche un bravo scrittore: al riguardo, vi consiglio caldamente di acquistare le sue pubblicazioni più conosciute “Improve your coarse fishing” e l’interessantissimo “On the cut with Dave Roper - Bloodworm fishing”: una vera miniera d’oro per approfondire le pesche con fouilles e vers de vase).
Probabilmente, invece, non ricorderete il mondiale per nazioni di quattro anni prima, tenutosi a Luddington nel Regno Unito, dove un commosso ed allora biondissimo Dave Thomas alzò al cielo l’oro individuale dopo una complicatissima competizione, nella quale gli bastò catturare poco più di un chilo roaches per laurearsi, con peno ed indiscusso merito, campione mondiale individuale.

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Nelle interviste e nei commenti che seguirono fu evidenziato che Dave Thomas riuscì a catturare i difficilissimi gardons del Warwickshire Avon a Luddington, non solo utilizzando la sua mitica match rod Craddock Dave Thomas Carbon Fibre Match, ma soprattutto grazie al suo inseparabile mulinello a bobina chiusa, che aveva usato per pescare a waggler, affiancandolo ai suoi fidati centrepins, con i quali aveva comunque pescato a stick float al Mondiale: sembrano immagini di oltre un secolo fa ed invece …): “Daves trustly old ABU 506 certainly was a fine complement to his skill during the World Championship”.

Proprio curiosando nel programma ufficiale del Mondiale ho ritrovato queste vere chicche: non solo la pubblicità della canna all'inglese di Dave (allora famosissima), ma anche quella di un allora innovativo monofilo all'inglese ... un certo Maxima e quella del maggior competitor dell'ABU 506: il citato e pregevolissimo DAM Match Winner 2

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Dave vinse quel mondiale pescando come un marziano e la svedese ABU, orgogliosa del risultato, lo ringraziò in modo davvero commovente:"Dave, we're all proud of you!".

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Il neocampione del mondo stesso, dopo aver ringraziato il suo commissario tecnico Stan Smith per averlo selezionato, ammise che, con riferimento all’ABU 506 “it has established itself as the standard reel”.

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Nelle cronache dell’epoca fu evidenziato che mai ringraziamento fu più funesto di quello fatto a Stan Smith: Dave Thomas, infatti, inspiegabilmente, non fu mai più selezionato per la nazionale inglese e non fu, quindi, mai più posto nelle condizioni di poter difendere il proprio titolo mondiale.
(Se volete approfondire l’argomento andate a gustarvi su Youtube la sua intervista digitando: Dave Thomas: How I won the World Championship; il suo racconto è dettagliato e suggestivo, ma ancor più sorprendenti sono le fotografie che mostra. Più o meno a metà del filmato ne compare una in particolare, dove si vede il Campione inglese all’opera: guardate in che incredibile picchetto lo avevano ficcato e non lamentatevi mai più dei picchetti scomodi o pericolosi!).

A fronte delle caratteristiche distintive di semplicità realizzativa, qualità dei materiali, affidabilità assoluta, facilità di utilizzo e propensione all’utilizzo di lenze sottilissime, unitamente al fatto che ancora oggi si può acquistare un mulinello del genere usato ed ancora in ottime condizioni e ad un buon prezzo, bisogna dire che alcuni punti a sfavore ci sono e si sentono tutti.
Per quanto innovativi, i Serie 500 non erano certo la perfezione scesa in terra: avevano i loro bravi difetti ed i loro limiti strutturali e, quelli maggiormente evidenti, riguardavano soprattutto il peso complessivo del mulinello ed una imperfetta bilanciatura del rotismo interno, quando sottoposto a recuperi davvero veloci, unitamente ad un rapporto di recupero oggettivamente lento, alla necessità di una manutenzione ordinaria molto frequente ed attenta ed alla curiosa necessità di doverli rodare per bene prima di pescarci col freddo. Inoltre, questo va detto, non sono mai stati i mulinelli ideali per pescare a lunghe distanze.
Ma, come ho sempre sostenuto, la volontà supera il limite ed ABU voleva superare ad ogni costo quelli della pur straordinaria, per l’epoca, Serie 500.
Proprio per questi motivi, ancora oggi, possiamo trovare in circolazione esemplari della Serie 500 più o meno modificati nella loro componentistica e cosmetica, a seconda delle esigenze specifiche del loro utilizzatore.

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A questo punto penso che possiamo avere chiare quelle che sono le caratteristiche generali di questi macinini da caffè.
Proprio queste sommarie nozioni ci consentono ora di poter individuare quali potrebbero essere oggi le direttrici principali sulle quali investire per realizzare un closed-face reel effettivamente moderno e rispettoso delle attuali e mutate esigenze tecniche dei match anglers italiani ed europei.
Le prime due esigenze sarebbero, secondo me, quelle di contenere al massimo il peso e le dimensioni complessive del mulinello e di implementare il rapporto di recupero.
Queste, in realtà, erano due esigenze già avvertite negli anni passati ed, al riguardo, la ABU, resasi conto di tali richieste, era intervenuta drasticamente: nella Serie 600, infatti, il peso complessivo del 601 e del 602 è stato vertiginosamente ridotto subito al di sotto della soglia dei 200 grammi ed il rapporto di recupero è stato parzialmente innalzato a 4,1:1 per un recupero di 35 centimetri circa per giro di manovella. Nel successivo 704 (realizzato con componenti made in Japan, ma assemblati in Thailandia) il peso si attesta sui 290 grammi, con rapporto di recupero appena più basso e pari al 3,9:1 e, nel meraviglioso 1044 (interamente made in Japan e con ritorno allo chassis in metallo), a mio avviso il migliore di tutti ed ancor oggi molto attuale, il peso è di circa 330 grammi, con un rapporto di recupero curiosamente non dichiarato dalla casa, ma che ho, più o meno empiricamente, calcolato in un rapporto di 3,9 per un avvolgimento di 40 centimetri circa per giro di manovella.
Altra fondamentale esigenza sarebbe quella di intervenire sul bilanciamento dinamico del rotismo: in questo ambito la ABU riprogettò la disposizione di alcuni componenti dell’ingraneggeria minore interna.
I risultati sono ben visibili nella Serie 600, con i suoi modelli 601 e 602, nei quali la diminuzione e la redistribuzione dei pesi aveva reso il mulinello davvero performante ed equilibrato (a quel tempo, da abbinare degnamente alle prime canne tre pezzi in carbonio già in circolazione) e finalmente con un look moderno ed accattivante, molto leggero e dotato, per la prima volta nella storia dei mulinelli, di un dispositivo di balanced retireve.
Quest’ultima innovazione colma una ulteriore lacuna presente nella Serie 500, nei quali la potenza di recupero generata dal mulinello si rivelava insufficiente a portare a guadino il pesce di taglia, a causa del fatto che il pre-set della frizione era, appunto, settato unicamente sul carico di rottura del monofilo e, tale circostanza, generava un decremento di potenza che poteva arrivare addirittura ad una percentuale dell’80% del peso del pesce.
Per arginare il problema, i possessori dei Serie 500, semplicemente serravano di più la frizione, ma tale accorgimento, se in occasione di una semplice pescata poteva, entro certi limiti, essere tollerato, durante una competizione, non era in alcun modo giustificabile.
Ecco che allora, con l’introduzione del brevetto internazionale del balanced retrieve ABU aumentò fino al 90% la potenza di recupero del pesce a parità di pre-settaggio della frizione, dando al pescatore una confidenza nel recupero mai vista prima.
Personalmente posso confermare che, dalla Serie 600 in poi, il feeling durante il recupero dei pesci, anche quelli più impegnativi, è davvero straordinario e determina oggettivamente una maggiore semplicità e sicurezza nelle fasi cattura ed, in particolare, di guadinatura del pesce di taglia.
Questo perché, nella malaugurata ma frequente ipotesi di ripartenza improvvisa di un pesce di taglia quasi a guadino, grazie al balanced retrieve ed attraverso il settaggio dell’Auto Syncro, la taratura della frizione ritorna istantaneamente al valore iniziale di pre-set.
Tale brevetto prenderà il nome commerciale di Equa Power nel 601 e nel 602 e sarà riprodotto anche nelle rispettive versioni match (601M e 602M) sotto la dizione di Equa Match.
Anche per questo i due rappresentanti della Serie 600, noti tra gli addetti ai lavori come “The Diplomats”, diventarono istantaneamente i nuovi best sellers per i pescatori al colpo di tutta Europa: posso confermare che pescare con questi mulinelli è, ancora oggi, un autentico privilegio, non solo affettivo, ma propriamente tecnico perché tale dispositivo, anche oggi, risulta ineguagliato ed insuperato, sia per la sua efficacia clamorosa e sia per la sua semplicità di utilizzo.
Questa è la ragione per la quale ho deciso di doppiare la mia dotazione di 601M ...

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Notiamo anche che nella Serie 600, così come pure nella successiva Serie 700 e nel 1044, trova ingresso per la prima volta l’antireverse disinseribile, tramite quello che poi diventerà il pulsante posteriore di tutti i mulinelli prodotti … tranne gli ultimi oggi in circolazione.

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"The Diplomats" assicurano, quindi, un miglioramento sostanziale in tutte le fasi di gestione della lenza, che scorre nel mulinello in assoluta scioltezza e sicurezza, grazie anche ad un push button anteriore ulteriormente addolcito e davvero agevole da utilizzare.
Se accettate un consiglio: cercate "The Diplomats" (sia la Serie 600 e sia la Serie 800) nei mercatini, anche virtuali, sia pure con grande difficoltà e con molta, molta pazienza, potrete trovarne di nuovi a prezzi davvero incredibilmente convenienti e, così, acquisterete un compagno di pesca fedele ed affidabile negli anni a venire.

Con la Serie 700, costituita dall’agile Abumatic Premier 704 e dal potente Abumatic Premier 706, ABU cerca di proseguire nei buoni risultati tecnici ottenuti, mantenendosi nel solco dell’innovazione tecnica e cosmetica preconizzata dalla Serie 600.
I riscontri di vendita furono immediati ed entusiasmanti, tanto che il Premier 704 diverrà il closed-face reel in assoluto più venduto in Europa nel 2009, anno di immissione sul mercato.
Lo schema tecnico della Serie 700 si basa sul modello 704, il primo ad essere stato immesso in commercio e prevede uno chassis (in polimero plastico avanzato molto robusto con una front cover in alluminio anodizzato di pregevole fattura e molto semplice da svitare e rimontare) totalmente riprogettato per assicurare una cosmesi d’insieme davvero moderna e gradevole (anche se, comunque, assomigliante ad un coffee grinder) e per alloggiare una meccanica di qualità, sia per i materiali che per le soluzioni tecniche, tra le quali segnalo il ritorno al one-pin in luogo del double pin.
Completano il quadro meccanico un sistema di oscillazione della bobina per il miglior riavvolgimento del filo ed un antiritorno, ora davvero istantaneo.
Il modello 704 spicca per la sua versatilità e maneggevolezza nelle pesche light ed ultralight, sia all’inglese che in bolognese. Con un peso di 290 grammi circa ed un rapporto di recupero pari a 3.9:1 lo utilizzo insieme al mio prediletto ABU 1044, in particolare quando il target è costituito da cavedani e gardons da pescare molto leggeri e molto al limite come finali ed ami da utilizzare.
Il fratello grande 706, invece, riprendendo le fila della tradizione iniziata con il 507 e proseguita con il 602, va preferito nelle pesche impegnative con lenze pesanti, finali robusti ed a pesci di taglia: a dispetto della sua linea filante, il 706 non indietreggia un millimetro neppure quando dall’altra parte ci sono i famosi “brutti clienti”, notoriamente riottosi ad essere portati a riva …
Da notare che ambedue i mulinelli sono realizzati ormai in Cina, ma, almeno in questo caso, la differenza, benchè presente e sensibile, non influenza la bontà del prodotto, che rimane affidabile e semplice da utilizzare, anche grazie alla introduzione del pulsante di sblocco dell’antiritorno, posto sul mozzo di inserzione della manovella.
Unica e solita accortezza rimane quella, comune più o meno a tutti i closed-face reels, di non riempire mai fino all’orlo la bobina con il monofilo.
Utilizzando la Serie 700 ci si accorge della consueta semplicità di utilizzo del mulinello e della meravigliosa sensibilità e scorrevolezza della frizione, soprattutto con settaggi non ridotti al minimo (e proprio la semplicità di utilizzo credo sia un altro fondamentale presupposto per un moderno mulinello closed-face).
In questo senso il 704, ed ancora di più il fratello grande 706, necessitano di una adeguata ed attenta lubrificazione della frizione per raggiungere la massima scorrevolezza su settaggi estremamente leggeri.
Soprattutto con questi due modelli vi consiglio, pertanto, di non lesinare sulla qualità del grasso da utilizzare per impregnare i dischi frizione: acquistate un grasso siliconico molto raffinato, come quello che utilizza normalmente il sottoscritto: senza arrivare al superlativo assoluto del Sirokuma o del Dekakuma, ambedue commercializzati dalla IOS Factory, mi permetto di consigliarvi il sempre valido Daiwa Tournament Grease.

Dopo il lungo intermezzo costituito dalle Serie 600 e 700, in cui gli chassis in polimero di forma arrotondata avevano esaltato la leggerezza e la maneggevolezza sia pure a scapito dell’affidabilità, nel meraviglioso modello 1044 - ultima versione closed-face reel dell’era ABU - il corpo torna ad essere interamente realizzato in metallo e con una forma trapezoidale che ricorda molto da vicino quella del classico Luxor N. 1, commercializzato dalla Pezon & Michel.
Si tratta di un mulinello davvero ben progettato e costruito: è talmente affidabile, preciso, scorrevole e semplicissimo da usare, che costituisce un prodotto che ha riscosso un successo davvero incredibile, reso ancora più evidente dai vani tentativi di imitazione che si sono succeduti nel tempo: perfino una azienda storica e con una reputazione ineccepibile come la MITCHELL, che mai prima si era cimentata nel particolare settore dei closed-face reels, non seppe resistere alla tentazione di immettere sul mercato un competitor del 1044: il famigerato e poco noto MITCHELL Lightning 40: una sfacciata fotocopia dell’ABU 1044 che, tuttavia, ne ha saputo riprodurre, neppure troppo accuratamente, le sole fattezze esteriori.
Anche la rispettabile SILSTAR tentò di riprodurre l'ABU 1044 nella illusione di inseguirne il successo ottenuto: va detto, tuttavia, che la sua concezione di riproduzione, trasfusa nel SILSTAR MG 29 Graphite Match, si risolse in un mulinello davvero mediocre, per non dire di peggio ...
Una volta compreso l’azzardo, sia MITCHELL che SILSTAR non commercializzarono mai più un mulinello a bobina coperta per il match & coarse fishing, pur continuando a produrre onesti mulinelli a bobina coperta per l’under spin.

Eccoci arrivati al momento di tiare le somme: la nostra scorribanda su e giù per l'Europa degli anni '70 '80 e '90 alla scoperta delle molteplici interpretazioni offerte dalle varie aziende produttrici ci ha restituito il concept di un closed-face reel moderno ed ideale.
Davanti ai nostri occhi ha preso forma e contenuti: è di taglia ridotta, ha uno chassis rigido e leggero in polimero o, magari, in metallo, che alloggia al proprio interno una meccanica di elevatissima qualità realizzativa ma, al contempo, dallo schema molto semplice; è bilanciato; ha un rapporto di recupero veloce ed ha una frizione molto modulare e progressiva, capace di assicurare anche settaggi ultra light. Non ultimo, ha una bobina metallica assistita di un pin ceramico o, comunque, realizzato con materiali in grado di supportare anche i trecciati, oltre ai nylon ultra sottili. Magari, potrebbe anche avere una leva di recupero più lunga, diciamo intorno agli 8 o 9 centimetri.
Sopra ogni altra caratteristica, tuttavia, deve avere due ulteriori pregi fondamentali: essere semplice da usare e, soprattutto, essere molto affidabile e, proprio per questo, non sono sicuro che il mulinello ideale debba essere corredato da un sistema lever brake, del genere già utilizzato dai citati RECORD 700 HI, RYOBI Leverspin, CONTACT 4000, nonchè dai SARFIX 2000 e Royal Project.
Io ritengo che, con le tecnologie ed i materiali attuali, sia possibile dare vita ad un mulinello, per di più a bobina coperta, capace di compendiare tanta meravigliosa tecnologia e tutte queste caratteristiche fuse armoniosamente insieme.
Sarebbe davvero una bella novità in un mercato ormai saturo e, da tempo, del tutto privo di vere e proprie novità, specie nel campo dei mulinelli e credo a buon diritto che avrebbe anche un certo riscontro in termini commerciali, se non altro perchè colmerebbe un vuoto tecnologico e commerciale ormai presente da anni e potrebbe essere utilizzato non solo dalla ristretta cerchia degli agonisti ma, magari, anche dagli appassionati della bolognese, sia in mare e sia in acque interne, della pesca alla trota con esche naturali e, perchè no, anche dalla nutrita schiera degli amanti dello spinning alla trota, al black bass ... ed alla spigola.

Questo auspicio si è trasformato in un desiderio esaudito, quando mi sono imbattuto in un mulinello che non avevo mai visto prima e del quale non avevo mai sentito parlare, se non in maniera del tutto generica ed approssimativa.

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Si tratta di una produzione giapponese di ultimissima generazione (l'attrezzo in questione è stato commercializzato dal 2017 circa in poi), realizzata in edizione limitata dalla factory giapponese TRI ANGLE: il modello è il fantastico e raffinatissimo TU 01, disponibile nella versione originale Black e nelle due varianti, non solo cromatiche, Military Grey e Flame Red, quest'ultima in possesso del sottoscritto a seguito di una crisi (volontariamente autoinflitta) da costrizione ambientale, dovuta all'ultimo lock-down. In altre parole: ogni scusa è buona!

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Siamo davanti ad un prodotto oggettivamente prezioso e davvero unico nel suo genere, nato dall’intuizione di Omori Shintaro, il capo del reparto di design industriale della ISUZU-Kogyo Industry, storica e più antica fabbrica giapponese di mulinelli e leader mondiale, tra le altre cose, nella progettazione e fabbricazione in outsourcing, di bobine per ogni possibile tipologia di mulinelli.
Il mulinello in questione, originariamente ideato per la pesca a spinning alla trota, al black bass ed alla spigola, ma mirabilmente adattabile alle nostre esigenze match & coarse, ha un design apparentemente tradizionale e minimal, che richiama i tratti dei closed-face reel storici che abbiamo visto finora ma che, in realtà, costituisce una tipologia di mulinello a se stante, in quanto combina armoniosamente il design classico, seppur rivisto in alcuni particolari, con la tecnologia più moderna e performante. Non a caso il jingle di accompagno recita testualmente: "closed face, open the gate ...".

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Questo autentico gioiello, formato da 58 pezzi complessivi, condensa in sè la storia dei mulinelli a bobina coperta, proponendo ad un pubblico particolarmente esigente ed evoluto un attrezzo, tecnologicamente molto avanzato, del peso a secco di circa 275 grammi, con un rapporto di trasmissione di 5,8/1 ed un recupero di circa 80 cm. per giro di manovella, garantito da un doppio pick up pin in ceramica.

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La frizione, con max drag di 2 kg., regolabile attraverso una ingegnosa ed insolita corona a scorrimento micrometrico, mi sembra davvero appropriata alla tipologia ultra light del mulinello in questione, che presenta una meccanica non particolarmente complessa ed, anzi, oggettivamente semplice, ma realizzata con materiali di primissimo ordine e lavorazioni meccaniche di precisione e qualità davvero fuori del comune.

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La cinematica è assistita da quattro cuscinetti in acciaio inox di altissimo livello e da un ulteriore cuscinetto one-way clutch per l’antiritorno.
Una cura davvero maniacale è stata riservata alla lavorazione ed alla finitura dei componenti meccanici interni, tutti in acciaio inox, realizzati con la miglior tecnologia CNC machine cut oggi disponibile.
La drive gear è realizzata utilizzando un insolito e preziosissimo acciaio placcato in titanio dorato, mentre i due perni di raccolta del nylon sono in ceramica e di diametro opportunamente maggiorato.
L’attrezzo in questione ha una manovella ambidestra, davvero curatissima sotto ogni profilo, di lunghezza finalmente adeguata ed opportunamente distanziata dallo chassis, che ricalca quella del MITCHELL Serie 300, molto precisa negli inserimenti, anche se di non facilissimo spostamento. In tal senso la TRI ANGLE avverte curiosamente che il cambio di manovella è previsto, ma viene fatto a nostro rischio e pericolo !!!

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La leva posta sopra alla campana di copertura, non attiva propriamente un sistema di frizione tradizionale, ma agisce come meccanismo di sblocco dei pick up pins e, successivamente, funziona direttamente come un freno (lever brake) straordinariamente duttile e progressivo, sul movimento centrale, coerentemente con i sistemi tradizionali LBD giapponesi (ma non sugli ultimissimi sistemi LBD che, invece, agiscono ora sulla frizione) montati sui mulinelli DAIWA e SHIMANO e destinati alla pesca in scogliera.

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Menzione particolare merita la bobina, davvero molto curata, ottenuta per tornitura dal pieno di un monoblocco di alluminio, rifinita con frese ad altissima precisione, successivamente anodizzata e disponibile in due versioni, una tradizionale (venduta di serie con il modello Black e con il Red Flame) e, l’altra, con profilo a V per l’utilizzo di trecciati e di PE in dotazione al Military Grey.
A sua volta, la bobina con profilo a V è disponibile sia nella versione shallow, che nella versione deep, acquistabile a parte. Resta inteso che tutte le bobine possono essere intercambiate su tutte le versioni.
Per gli amanti del genere è anche disponibile a parte una campana ribassata di copertura per l’underspin, finalizzata alla pesca a corta e cortissima distanza, nonchè alla tecnica ultra specifica della pesca verticale al black bass.
Il materiale dello chassis, comune a tutte le versioni (anche a quella Military Grey, che è la più pregiata perchè, a differenza delle altre due, ha anche un rivestimento "Tri-coat", conforme alla specifica militare "Milspec", che protegge il corpo del mulinello dallo sfregamento, dai graffi e dall'erosione dovuta agli agenti ossidanti, quali la salsedine e la nebbia salina) merita un approfondito discorso a parte: che io sappia, infatti, questo mulinello è l'unico ad avere una scocca ed un front cover in Alumite, in questo caso anodizzato in rosso e con rim in titanio.

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L'Alumite, il cui brevetto è, guarda caso, attualmente detenuto dalla Shimano Inc., più che un materiale a sè stante, consiste in un trattamento galvanico applicato all'alluminio e rientrante nel genere della anodizzazione dura (che, come sappiamo, è un processo per creare artificialmente un film di ossidazione con un processo elettrochimico, mediante il quale l'alluminio viene elettrolizzato come anodo in una soluzione elettrolitica di acido solforico).
Questo processo, che genera una ceramizzazione della superficie dell'alluminio (ad eccezione degli allumini legati a percentuali significative di rame, zinco e/o silicio) senza alcuna variazione dello spessore originario e senza variazione delle caratteristiche della lega di base, per quanto ci interessa in questa sede, rende la superficie chimicamente legata al substrato, non si rompe e non si squama, dona al metallo una brillantezza notevole, unita ad una resistenza meccanica alla torsione ed alla dilatazione ed una minor resistenza all'attrito (e, quindi, aumenta la resistenza all'usura), tale da avvicinare l'Alumite alla resistenza torsionale propria dell'acciaio inox, ma con il vantaggio fondamentale di un risparmio in termini di peso di oltre il 60%.
L'Alumite, pertanto, offre una eccellente resistenza alla corrosione ed all'abrasione, ulteriormente migliorata, nella versione Military Grey, da un processo di impregnazione, che avviene con la citata placcatura tri-coat a base di lacche colorate speciali. La casa costruttrice, in ogni caso, consiglia sempre di effettuare il lavaggio del mulinello dopo gli utilizzi in acqua salata.

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Le sensazioni in pesca sono davvero meravigliose: precisione, semplicità d'uso, compattezza, affidabilità assoluta si mescolano all'impressione di pescare realmente con il prolungamento del braccio. Le azioni di lancio e recupero, infatti, sono istantanee e, durante il combattimento con pesci di taglia, il sistema frizione, realizzato con dischi in teflon come ai vecchi tempi, se opportunamente pre-settato, funziona con incredibile progressione e dolcezza, a riprova del fatto che, per avere frizioni docili, progressive e morbide, non e' sempre necessario ricorrere a dischi customizzati in carbontex, ice o fad, ma semplicemente credo che sia ben più che sufficiente essere in grado di preparare e settare come Cristo comanda quelle standard.
Avrete capito che questo piccolo macinino, appartenente ad una produzione volutamente poco più che familiare, mi piace davvero parecchio, (a parte, ovviamente, il prezzo di vendita da vero satrapo orientale !!!).
Effettivamente, mi piace per diversi motivi: i giapponesi, infatti, sono riusciti a fondere elementi della tradizione dei closed-face reels europei con le tecnologie modernissime e con la manifattura artigianale, realizzando una fusione superlativa tra tradizione, innovazione tecnologica e realizzazione artistica.
A ben guardare, lo schema meccanico del TU 01 non differisce troppo da quello dell'ABU 503 degli anni 60': certo, i materiali e le realizzazioni sono stati adeguati allo stato dell'arte e della tecnologia attuali, ma l'impianto meccanico generale è modellato su quello svedese, non ci sono dubbi.
Apprezzo moltissimo anche il richiamo tradizionale giapponese all'uso del lever brake system che, personalmente, non avevo mai utilizzato prima e che mi ha lasciato una bellissima impressione di efficacia e praticità, sia pescando a all'inglese che a bolognese.
Va sottolineato che l'adozione del lever brake system su un closed-face reel non risponde soltanto ad un affettuoso richiamo alle tradizioni del sol levante: a ben guardare, infatti, questo sistema era già presente sui alcuni closed-face reels europei e giapponesi: inizialmente è stato applicato sul tedesco DAM Quick Automatic, versioni 267 e 268, sullo svizzero RECORD 700 HI e, successivamente, è stato adottato sul RYOBI Leverspin, sul CONTACT 4000 e sui SARFIX 2000 e Royal Project. A ben guardare, anche alcuni CONTACT tradizionali, passati per le sapienti mani di artigiani italiani, sono stati dotati di un sistema molto simile, attraverso una customizzazione molto efficace ed anche esteticamente gradevole.
Tornando al nostro gioiellino, notiamo che il design è di quelli che meritano di essere apprezzati sino in fondo: il front cover richiama quello degli ABU per forma; i fori, invece, sono quelli dei fratelli grandi DAIWA Syncromatic ed il corpo, con le sue linee brevi e curvate, richiama non tanto e non solo quello della Serie ABU 700, ma celebra in modo particolare, insieme alla manovella, le linee inconfondibili e copiatissime nel tempo della intramontabile Serie 300 della MITCHELL.
Questa piccola gemma, in sostanza, costituisce secondo me, oltre che un mulinello assolutamente performante, un condensato di piccole e fondamentali attenzioni e particolari che, messe insieme, restituiscono l'idea e la sostanza di un prodotto curato in ogni suo aspetto, come solo i giapponesi (e gli italiani) sono in grado di fare.
Proprio da questo modello, dalla cura dei particolari e dai suoi dettagli realizzativi, a mio avviso, si dovrebbe attingere per costruire il closed-face reel del futuro.
Del resto, i capolavori assoluti si riconoscono soprattutto dai particolari, anche quelli all'apparenza più insignificanti come, nel nostro caso, un dettaglio dell'involucro di spedizione, che mi ha davvero molto colpito.

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A volte, una immagine rende l'idea molto meglio di mille parole.

P.S.: Avevo a disposizione diverse foto dei mulinelli in azione, alcune davvero belle ma, non so perchè, non le ritrovo più. Contavo di rifarle al più presto ma, a causa della pandemia, non ci sono ancora riuscito. In ogni caso, conto di rimediare quanto prima ...

Edited by Marco Lucchetti - 24/12/2021, 15:49
view post Posted: 26/10/2021, 18:31 IO E LUI - Report, Racconti e Appuntamenti di Pesca
Non sbagli, e' una frase di Leopardi contenuta in una delle sue lettere scritte alla sorella Paolina.
58 replies since 12/5/2014