Buone feste

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zaccaria.austral
view post Posted on 4/12/2014, 21:20




FRA SOGNOE REALTA'

Prefazione
Cari ragazzi, quello che leggerete riguarda ovviamente la nostra passione, in questo caso rivisitata attraverso occhiali nostalgici, e un po’ appannati dal troppo umido.
E’ la mia storia di pescatore, una goccia minore di un mare dolce che appartiene a tutti, pescatori e non.
Vi consiglio di stamparlo, (non mi addebitate la carta …) e leggerlo con calma approfittando magari dei giorni di festa, e spero per voi, anche di pausa dal lavoro, di questo mese di Dicembre.



Ne aveva vista di acqua scorrere, ne aveva vista con gli occhi, con il cuore, e anche con la fantasia di una mente sempre assetata.
Se ne erano cibati l’anima e l’orgoglio, fino a divenire belli grassi, e rilassati quasi come degli oziosi benestanti.
Ora che intravedeva il momento in cui l’avrebbe vista solo con gli occhi dei ricordi, nelle foto degli anni trascorsi, oppure alla televisione nei TG quando avrebbero fatto rivedere le acqua-catastrofi di questi primi decenni degli anni 2000, si sentiva ancora più cosciente di quello che il destino, sia quello con la D maiuscola, che quello cercato con testardaggine, gli avevano donato.
Aveva dovuto pagare qualcosa, diciamo una cauzione, o ancora meglio un risarcimento danni, ma la vita era così per tutti: mai gratis!
E lui quello che aveva pagato lo riteneva equo, avrebbe pagato sicuramente anche di più se fosse stato necessario.
Nei ricordi di pesca, c’erano immagini belle e indelebili, come quelle di una Mamma o di un figlio, c’erano i ricami dei gorghi che si creano improvvisi nelle lame, la pelle d’oca sui bracci e sull’acqua quando questi vengono sferzati dal primo tramontano stagionale, le foglie che svolazzano da tutte le parti prima di planare sul fiume in una giornata d’autunno: “scialuppe” di tutti i colori e di tutte le forme, scialuppe destinate alla deriva, a fare d’arredo alle sponde, o da cuscino sul letto del fiume.
Chissà perché anche la prima immagine interna stamani era stata autunnale, forse perché questa stagione era quella che si sposava meglio con lo smorzarsi della vita, si disse che non sarebbe stato malvagio andarsene così, come quelle foglie … una ventata più secca e forte delle altre, il picciolo che cede, la linfa che non arriverà più, niente ossigeno, ne anidrite carbonica, solo un disordinato volo, un ultimo grande respiro che fa girare il mondo intorno; una vita attaccato alle radici, alle “cose terrene” e poi un finale senza vincoli e senza meta.
Aria e poi acqua, a macerare a decomporsi dentro a schemi sconosciuti.
Certo che stamani si era alzato proprio con una bella filosofia pensò …, le protesi alle anche, gli avevano ridato un po’ della mobilità perduta, purtroppo il suo amore per l’acqua aveva lasciato il segno anche su quelle, la deambulazione ora risultava poco naturale: rigida e compassata, ma gli permetteva quello che gli interessava di più, accedere alle sponde e entrare ancora a far parte del fiume.
Aveva scaricato la “roba” dalla macchina, non molta, da qualche anno cercava sempre più di razionalizzarne il trasporto, in parole povere, il peso.
Indossò la tuta, quella, anche se impacciava non poco, purtroppo era indispensabile anche in estate, figurarsi ora; erano sfumati come la nebbia che si stava alzando dal fiume i ricordi di quando si immergeva con solo le mutande … da “animale di fiume” a pescatore … un’evoluzione obbligata, non aveva potuto fare diversamente, le leggi degli uomini e le leggi del tempo gli avevano imposto un tracciato obbligato, fosse stato per lui forse sarebbe rimasto sempre “animale”!

Anni trascorsi come il vento che le sere estive rinfrescava la valle del torrente e gli faceva capire che era l’ora di tornare a casa.
Il suo vero rapporto con l’acqua era iniziato nel ’62, in un epoca che gli piaceva chiamare “pre-elettrodomestica”, cosa che escludeva naturalmente il primo impatto, quello antipatico e forzato, che portava sua madre a lavargli il viso tutte le sante mattine prima di andare all’asilo!
Già, l’epoca “pre-elettrodomestica”; ci pensate, un’infanzia con in casa, oltre alla mobilia, solo una cucina-economica, che non si chiamava economica per caso, perché poteva essere utilizzata anche a legna, mentre la parte più moderna era mobile, e alimentata dalla bombola a gas.
Niente Frigorifero, al suo posto, o una “gattaiola artigianale” –praticamente una scatola rettangolare, con telaio di legno e le pareti di rete sufficientemente fitta da evitare l’entrata di formiche e mosce - posizionata esterna sul davanzale della finestra che dava a Nord, o con il “progresso” una ghiacciaia, non ricordava se di legno, da tenere in casa e rimpinguare comprando il ghiaccio dagli appositi ambulanti.
Niente TV, ma c’era la Radio, che attivava spesso la fantasia.
Niente Lavatrice, ne Lavastoviglie, ma nei casi più fortunati un bel lavello esterno in graniglia, dove le massaie si spaccavano le mani con la lisciva.
Per scaldarsi il caminetto a legna, a posto del termo-singolo, mentre nel letto durante l’inverno invece dello scalda sonno si metteva qualche minuto prima di coricarsi, un “arcolaio” di legno detto “prete” che teneva alto il lenzuolo e dentro al quale appesa ad un gancio una scodella di coccio piena di carbone appena spento, spandeva intorno un piacevole calduccio secco.
Il ferro da stiro era a carbonella, si apriva tirandolo dal manico come se si levasse il coperchio da una pentola che avesse un cardine laterale, e si riempiva di tizzoni accesi, si richiudeva e si aspettava che il calore arrivasse alla parte piatta del ferro.
Ma a quel tempo la sua famiglia aveva acquistato la prima vettura, una Topolino C di un bel verde opaco, forse l’unico colore disponibile, inutile dire che i metallizzati erano ancora di là da divenire, un amore di tecnologia, dove spiccavano le frecce a bandierina, che si alzavano illuminandosi ai lati del parabrezza,
Una quattro posti dove si stava scomodissimamente anche in sette!
Allora con quel mezzo l’estate era divenuto possibile fare la trasferta di 40km per andare in campagna, dove era stata nel frattempo affittata la casa natale di suo babbo, e andare a conoscere il “fiume” …
Estati intere passate in compagnia solo dell’acqua, i coetanei e le loro voglie lontani come il mare.
Non aveva mai provato disagio, non si era mai sentito un asociale, solo che quel contatto era prioritario rispetto a quasi tutto.
Il primo incontro con i pesci e le altre creature del fiume, era avvenuto proprio nell’estate del ’62 tramite una catinella di plastica bianca con la quale catturava il getto, i girini, i porta sassi e le “scimmie” (larve di insetti) che nei dopo piena si fermavano nelle anse del torrente al riparo dalla corrente principale.
La prima cattura “degna”, era stato un avannotto già formato (senza il sacco vitellino in evidenza) di cavedano che allora in quei luoghi si chiamava lasca, che finì per masticare crudo perché sua madre non lo voleva friggere, praticamente un sushi integrale, scricchiolante e amaro da morire!
In quegli anni, era stato capace di passare ore su di un masso a guardare i pesci di una buca; per istinto aveva appreso a nuotare a rana, ma solo sotto l’acqua, non a galla, così gli era accaduto spesso di passare più ore a contatto del fondale del fiume, che non sulla sponda, fino allo sfinimento, fino a che i denti non battevano fuori controllo per il freddo, ed era costretto ad andare a cercarsi un angolo soleggiato a riva, in cui sedersi a recuperare forze e temperatura; c’era solo una forma di natura che lo disturbava, i tafani!
Quando tornava a casa a volte sembrava un lebbroso, tanti erano i pomfi, ma aveva preso i pesci, nelle loro tane, anche in profondità sotto metri e metri di acqua; era entrato nelle loro grotte, ne aveva sentito il contatto lungo tutto il corpo, si era sentito, semplicemente un predatore!
La memoria ora rivisitava quei ricordi, scremandoli, quasi li reinterpretava, rendendoli dolci e caldi, in realtà il fiume era stato un maestro severo.
Lui si era veramente impegnato, come si dice: anima e cuore, ma spesso in quel contesto era apparso goffo e presuntuoso.
Era stato un momento della sua vita pieno di scoperte.
Il fiume era un’enciclopedia pratica della natura, era un pulsare di vita, oltre i pesci e le enormi anguille argentine che si preparavano al viaggio riproduttivo verso il mare - la cui cattura con le sole mani era veramente un’impresa - ebbe modo di conoscere molti altri animali che facevano del fiume la loro casa: il merlo acquaiolo, il Martin pescatore, natrici, granchi, rospi, nella parte alta del torrente anche i gamberi; per fortuna, e istinto, aveva presto appreso a diffidare di quelle natrici che alla sua vista non si immergevano filando via fra i sassi del fondo, quando rimanevano a galla, o tornavano indietro per provare un guado a distanza, molto probabilmente erano Vipere, e era bene cambiare tratto da perlustrare, perché ci potevano essere nascite a giro.
Oppure come gli era capitato, erano bisce talmente vecchie e grandi che si allontanavano da lui con flemma, quasi con sfida, ne aveva vista una, che sembrava un serpente, a cui aveva anche dato inutilmente la caccia per un paio di anni, era veramente enorme, stava prevalentemente nella buca di una infrascata pescaia, e quando per la prima volta gli era capitato di vederla dall’alto, con il corpo allargato a sostenerne il peso a galla, era rimasto colpito dalla mole, era talmente un boss, che se gli tiravi i sassi dall’alto, invece di fuggire si fermava, alzava la testa e una buona parte del tronco dall’acqua, saettava la lingua verso l’alto, alla ricerca del riscontro olfattivo di quel bipede scalzo e “muschiato” che smaniava dall’alto della pescaia, quasi un controllare da dove e da chi veniva il disturbo, ma non certo il pericolo.
La famigliola di lontre che abitava quel torrente meritava un ricordo a parte, ne aveva visto le impronte sulla sabbia, e gli erano parse subito particolari…forse erano di papere particolari… poi lo aveva chiesto ad un contadino che gli aveva svelato il mistero.
Da allora le aveva seguite per anni senza mai vederle, probabilmente uscivano a buio?
Poi improvvisamente un giorno mentre era “stranamente” sott’acqua, c’era stato l’incontro: aggirando un grande masso si era trovato a tu per tu con il grande mustelide: una fulminea massa nera, purtroppo sfuocata dalla condizione liquida, era stato un attimo, il tempo di spaventarsi entrambi, era subito riaffiorato, ma della lontra non c’era traccia, per rivederla avrebbe dovuto aspettare i programmi alla TV.
Nonostante fosse scalzo, non aveva grossi problemi, nell’arco delle prime due settimane estive, i calli ai piedi si erano già formati, e poteva saltellare da un masso all’altro anche su quelli più scabrosi, e inoltrarsi anche nelle viottole del sottobosco, dove gli incontri con altri animali erano fitti: la volpe, un grande Tasso trovato morto con il sangue alla bocca ancora caldo, probabilmente il risultato di un trauma avvenuto sulla vicina statale 67
Rare le ferite ai piedi, quasi tutte dovute a resti di bottiglie rotte, ma per fortuna spesso dal vetro già levigato dalla corrente.
L’unica volta che c’era mancato poco ci lasciasse una gamba, era stato quando aveva inavvertitamente pestato una tagliola da volpe messa, ben mimetizzata sotto la sabbia, da qualche cacciatore di frodo, anche lì un po’ di fortuna volle assisterlo, la tagliola doveva essere datata, e arrugginita quel tanto che ne frenò lo scatto, e i denti morsero il polpaccio con una violenza non sufficiente a penetrare più di tanto nella carne, il problema vero venne quando provò a toglierla, non si apriva, e non si poteva trasportare, aveva una corta e grossa catena legata ad un albero della sponda, e faticò forse più di un’ora, prima di riuscire a far leva con quello che trovava, e uscire dalla presa!
Spinto da una voglia di conoscere l’acqua che non lo mollava mai, aveva finito per fare esperienza spesso sulla sua pelle, come quando aveva messo un dito in gola ad un bel cavedano, ed aveva scoperto che anche i pesci che ne sembravano privi, avevano i denti, il dolore era stato acuto quanto la sorpresa, e il sangue che usciva dal piccolo taglio un’evidente conferma.

Quando il fiume lo aveva messo seriamente alla prova, aveva anche rischiato di lasciarcela la pelle.
Prendere i pesci con le mani stando sotto l’acqua, anche se non è un’azione comune, oltre che proibita, non è un esercizio estremo; ma ritrovarsi sotto l’acqua con un braccio bloccato dentro ad un masso, perché nello sfilarlo, un altro appuntito vi si è infilato nell’avambraccio, si!
E può costarvi la fine di tutte le fantasie. Quando già la gola faceva i singhiozzi, ricercando le ultime molecole di ossigeno, una Dea bendata, gli aveva fatto ritrovare un attimo di lucidità: così, aveva spinto nuovamente il braccio dentro al masso, e quello più piccolo e appuntito aveva lasciato la presa permettendoli di liberarsi e riesplodere in superficie!
La medesima Dea, lo aveva “salvato” dalle sabbie mobili di un piccolo invaso di acqua e foglie macerate che si era creato in un boschetto in cima all’appenino Tosco Emiliano, semplicemente perché era una delle rare volte che non era solo, così mentre teneva le braccia allargate per sostenersi, con tutto il resto del corpo avvolto da foglie e melma, con i piedi che penzolavano liberi in un vuoto liquido sottostante, suo zio gli aveva potuto allungare un grosso ramo e tirarlo fuori!
Allora, si era chiesto quante mani avesse quella Dea, ed essendo in occidente, dubitò che fosse una Dea Kalì, perciò si fece molto più prudente.
Quando avrebbe preso a praticare fiumi più grandi armato da vero pescatore, prima di imparare a leggere quelle grandi correnti con gli occhi da una sponda, avrebbe tribolato, per anni avrebbe pagato il dazio di non avere più i punti di riferimento che aveva in quel torrente, e la possibilità di andare sotto a vedere dove avevano la tana i pesci.
Comunque sia a ripensarlo ora, si vedeva proprio felice, d'altronde tutti i periodi della vita hanno i loro acuti e le loro smagliature, ed era certo che se un giorno avesse potuto evocare dei ricordi per riviverli, quei momenti sul fiume sarebbero stati fra i papabili.
Quando aveva compiuto 12 anni come da leggi correnti, aveva potuto rilevare la “licenza di pesca”, non prima però di aver fatto un tardivo corso di nuoto, obbligato da un babbo giustamente allarmato dalle sue peripezie, visto che in quelle buche, quando era ragazzo lui negli anni ‘30 (in Inverno) erano morti anche degli amici, mentre provavano a traversarne le acque, sia per lavoro (guidare il guado di un gregge) che per altri motivi.
Raggiunto il brevetto, i genitori gli avevano regalato la prima canna da pesca!
Era una sgargiante 3 Mt in canna dolce con delle ghiere ottonate belle lucide in cui i calci dei 3 pezzi andavano innestati con una leggera pressione.
Ma quello che più lo emozionava era quella cima cosi fine … avrebbe retto?
Quel setino rosso alla sua sommità, che faceva tanto Natale a cosa serviva?
Ne era rimasto estasiato, anche se all’atto pratico, i pesci più grossi li avrebbe presi ancora per anni, più con le mani che con la lenza!
Ora nella rastrelliera in Garage aveva decine di canne bolognesi e fisse, alcune di grande marca e pregio erano giunte negli anni del benessere, anni in cui aveva fatto anche dell’insano collezionismo, comprando pure i doppioni: copie che non avrebbero mai visto il fiume.
Era un po’ come se si fosse comprato due abiti uguali perché erano molto belli, senza stare a riflettere se quando fosse arrivato il momento di “indossare” quello di riserva, si sarebbe trovato ad essere di una taglia sopra o in un nuovo momento della moda.
E per alcune di loro, era accaduto proprio questo: canne da sogno ferme dentro ai foderi, perché nate per un sogno che non c’era più … erano cambiati i fiumi, e spesso anche la taglia e le specie degli avversari.
Le vecchie canne erano ferme, lui invece aveva intrapreso un percorso a ritroso … negli ultimi anni era andato spesso a ricercare i pesci di un tempo.
Dove andare a pescare ora, lo dettava più il cuore che il ragionamento, ed era una cosa molto bella, anche se un poco triste per la situazione in cui versavano quelle povere specie …un pescatore suo coetaneo una volta gli aveva scritto:
Ho nostalgia della nostra pesca, per questo mi ritrovo a fare come gli indiani in riserva, arretro sempre più verso l'alto dei "miei" fiumi dove ho ancora i pesci nostri, seriamente minacciati dalla spazzatura arrivata nel frattempo da chissà dove.
Gli Indiani in riserva, come era vera quella definizione, non c’erano più né “bisonti né praterie” solo un manipolo di nostalgici della vecchia pesca, destinati ad areali sempre più ridotti, altroché “sentinelle del fiume”, erano dei papabili all’estinzione, e non avevano nemmeno la speranza di essere inseriti nelle liste di protezione, come accadeva a qualche specie di pesce, anche se, per quel che serviva …
Quello che aveva visto negli anni, aveva rafforzato la sua convinzione che gli innamorati dell’acqua a qualsiasi disciplina tecnica appartenessero, avevano perso decisamente la partita. Come in tante altre cose terrene, l’essere divisi aveva favorito gli interessi e gli obbiettivi di chi usava la pesca per altri scopi, o delle singole associazioni, ovviamente quelle più numerose, o attive. Tutti, nessuno escluso, avevano guardato solo nel proprio giardino, avevano curato la propria erba, chiudendo volutamente gli occhi sul fatto se essa fosse parte verde di un futuro fiore o invadente gramigna, ciechi fino alla fine, fino ad arrivare a minacciarsi fra loro, fino alla fine dei fiumi.
La pesca per diletto aveva un urgente bisogno di essere conosciuta dalle nuove generazioni, perché si potesse in qualche modo salvare da se stessa.
Posò lo zaino sulla sponda, si tolse di dosso la tracolla del fodero delle canne e quella del porta nasse, non si piegò sulle gambe, ma lasciò che scivolassero a terra, gli sforzi andavano razionalizzati ancora più del peso, rimase qualche minuto a gambe divaricate, fermo, fisso come l’espressione del viso, quando il verde allentò per un attimo l’incantesimo dal suo corpo, sorrise pensando a quanto sarebbe stato buffo vedersi.
La lampo del fodero ebbe un paio di inciampi nel suo scorrere, qualche dente mancante le impediva un percorso fluido come un tempo … “vecchia anche lei” … le canne dentro non erano male, si lasciò del tempo per guardarle, come si diceva …”anche l’occhio vuole la sua parte”, no che fossero immacolate; erano canne da pesca, e avevano pescato, solo che il tempo trascorso ad asciugarle e strisciarle con un morbido panno su cui aveva vaporizzato dello spray idrorepellente, ne aveva tenuto i colori accesi, e limitato i graffi che lo sporco secco provoca quando dopo una settimana di fermo, si ritirano i pezzi fino alla strozzatura del cono sottostante. I mulinelli erano un poco più vissuti, sempre i soliti per troppo tempo, per rimanere di un aspetto brillante, solo il nailon sopra aveva una luce fresca, lo aveva sempre sostituito con regolarità, irrorandolo anche quello ogni volta che ne inbobinava di nuovo.
Le montature erano assenti, era abituato a farsele sul fiume, specie ora che non aveva fretta, prendeva dalla macchina lo sgabello e si metteva seduto, in quel palcoscenico si sentiva sereno, sicuramente più di molti suoi coetanei seduti sulle panchine dei giardini … lì non si provava né invidia né rancore per nessuno, non si disturbava chi lavorava, e non si faceva compassione ai giovani.
Lo zaino a dire il vero custodiva degli avvolgi lenza con qualche lenza sopra, ma come spesso gli accadeva anche da più giovane, erano montature che non duravano più di due uscite, erano quelle che avevano fatto il loro dovere la volta precedente, ma già alla seconda, o non rendevano al meglio o erano state riposte non più integre. A qualcuna mancava il finale, altre avevano il galleggiante con l’antenna che quando si tirava il nailon saltava via dalla sede, oppure la deriva che aveva un solo passantino in silicone perché gli altri si erano tagliati a forza di scorrere su e giù per la lenza, quasi come se anche loro dovessero eseguire una passata.
E dire che ne aveva visti di raccoglitori ben ordinati, tanti e talmente ben tenuti da far invidia ad un negozio, c’erano stati degli amici che ne facevano un’arte, lui ci aveva provato, ma non era la sua natura …
Oltretutto il nodo di giunzione, lo disturbava non poco, non gli era mai apparso affidabile, anche se molte volte aveva dato prova di una buona tenuta, altre aveva fatto cilecca, e nel tira - tira, la montatura intera era rimasta attaccata al ramo di turno, sul fondo, e qualche brutta volta pure a rimorchio di uno sfidante.
Poi … poi, avevano il peccato originale: andavano collegate con il nodo!
Per lui, che si era fatto un nome con il no-nodo, era quasi un affronto!

Tutte le volte che ripensava all’accaduto si chiedeva come gli fossero venute alla mente quelle soluzioni, e dire che era certo che la tecnica non fosse mai stata il suo fiore “all’occhiello” … Ma c’era cascato dentro con entrambe le gambe il giorno che aveva incontrato i tecnici veri, quei ragionatori dalle menti lucide e catturanti, grandi anche nell’anima della passione che ci mettevano dentro.
Erano stati una quindicina di anni intensi, di apprendistato ed evoluzione comune, con un passo ben oltre le righe del suo modo di vivere quella passione, ma sicuramente anni fecondi.
Anni nei quali aveva visto e pescato in fiumi in cui da solo non sarebbe mai andato: il Magra, il Tevere, l’Adda, fino alla chiamata di lui, il grande fiume, il Po con le sue “sirene con i baffi”.
Ricordava di essere stato in tensione per tutta la settimana antecedente l’uscita, si era avvicinato alla meta con un viaggio che pareva quello dei primi esploratori e, naturalmente si era presentato su quelle rive sabbiose, sprovvisto di quasi tutto quello che sarebbe servito.
Si ricordava che quando aveva dichiarato il filo in bobina, un bel 0,125, gli amici gli avevano consigliato di attendere ad entrare in pesca e di telefonare ad un gruppetto di romagnoli, con cui avevano fissato e che era ancora in ritardo a causa della nebbia. Fu grazie alla loro gentilezza nel procurargli una bobina del 0,16 per imbobinare e una dello 0,145 per fare il terminale che riuscì a portare al guadino un paio di barbi over2
Era stato dunque un grande incontro, anche se ricordava che aveva dovuto aspettare qualche ora prima di vederne l’immensità liquida scoprirsi dal lenzuolo della nebbia.
Il mal di Po gli avrebbe visto fare due, tre volte l’anno, le più lunghe trasferte di pesca della sua carriera, lo avrebbe visto levare la neve dai prismi con le mani per sedersi sulla sua sponda, o scaldarsi ad un sole Invernale che lì agiva spesso con successo e assenza di vento, e quando quello fosse stato presente, lui avrebbe sorriso ad un tramontano divenuto improvvisamente amico, pronto ad aiutarlo nel frenare la corsa di una pesante lenza; condizione che nelle sue zone era veramente difficile da trovare.
Quel fiume, lo aveva fatto pescare con canne e lenze che spesso erano specifiche solo per quelle acque, dandoli la possibilità di aggiungere esperienze completamente nuove al suo bagaglio di pescatore.
In quegli anni, tanta la strada fatta con gli amici, ore che filavano via più veloci della macchina, fra racconti e battute; un bell’angolo di ricordi.
Poi era tornato di nuovo solo, era la sua natura, non era un asociale, avere avuto uno o più compagni con cui parlare e riparlare di pesca, era stato bello, ma il fiume l’aveva conosciuto così, a sei anni: da solo, e quello che aveva compreso sin da allora era che soddisfaceva appieno la sua indole più intima: stare sulle sue sponde a riflettere, come faceva la sua superficie. Perciò aveva ripreso a camminare invece di correre, un po’ come quei motociclisti che vanno forte solo quando tengono la ruota di chi, più bravo, li precede, per poi tornare su ritmi più blandi se non hanno più il riferimento di chi gli imposta la curva.
Oltretutto lo sapeva, competere era bello, ma dopo un po’ lo stancava, non aveva la molla di chi vuol vincere sempre, lo gratificava di più essere un outsider, così poteva prendersi tutte le rivincite che voleva sentendosi ugualmente orgoglioso delle buone prestazioni, senza doversi ripetere a tutti i costi … la molla della sfida invece, scattava sempre nel confronto fra lui e il pesce, specie se era in canna … ed era naturale così …
In quegli anni aveva preso anche a usare il PC e si era iscritto a dei siti di pesca.
Aveva anche “parlato” di pesca, senza presunzione, ma con la passione che sentiva dentro, accorgendosi che non gli veniva male, finché non era inciampato in un forum di appassionati della pesca a passata, erano dei bricconi Romagnoli, e lui negli anni ne aveva incontrati di quella terra a spasso anche sui suoi fiumi, “brutta gente”, pescatori da tenere alla larga se non volevi fare la figura del principiante, avevano spesso una marcia in più, ed erano talmente abili, da farti sembrare quella tecnica e le catture che portava, una cosa semplice, quasi matematica, per fortuna non era un permaloso, e ne aveva tratto spesso dei bei insegnamenti di cui fare tesoro, insegnamenti che poi, come tutte le cose donate, si era concesso il piacere di tramandare ad altri.
Era spesso così anche per altre cose nella vita, una cosa ricevuta in dono, si prestava più di altre ad essere di nuovo donata, come se fosse quello il destino a cui era votata.
Si era ormai convinto scrivendo anche in quel Forum, che raccontare la pesca da dentro, avrebbe attratto altri pescatori, portato altre persone a fare da anello aggiunto ad una catena che con quella attività teneva l’uomo unito all’acqua; anche se virtuale, quello era il luogo più logico dove tramandare quello che aveva imparato di quella passione, una delle cose più belle che gli fossero mai accadute, una piccola scaramuccia vinta contro un destino avverso all’acqua, la possibilità di dare una mano e sentirsi ancora un appartenente a “l’altra Italia” un elenco privato di persone stilato dal giornalista-scrittore-pescatore Mario Albertarelli: lo spirito e la mente più vicina e lucida che avesse mai letto sulle riviste di pesca.
Era una cosa bella scrivere, ma tutte le volte che arrivava a mettere in pubblica quello che la mente gli aveva dettato, provava sempre una sorta di pudore, e si chiedeva se quei sentimenti che lo avevano accompagnato sin da bimbo, sarebbero mai potuti essere veramente condivisi, poi vinceva la speranza, era certo, non potevano non esserci amanti dell’acqua!
Camminando sul fiume e su Internet, aveva incontrato tanti altri uomini pescatori sparsi per lo stivale, alcuni erano diventati amici talmente appassionati e sinceri, da farlo sentire in imbarazzo; da fargli chiedere, se fosse vero che bastasse essere se stessi per ottenere e meritare tanto affetto e stima, negli anni purtroppo c’era anche stato chi se ne era andato su altre sponde, portandosi via la gioia e la speranza di altre ore da condividere, e lasciandogli dentro e sulle sponde vuoti che non si sarebbero colmati.
Smise di pensare, e si accorse che il piccolo amo che teneva fra i polpastrelli del pollice e dell’indice si era dato alla “macchia” benedetta pesca alla passata, tutto miniaturizzato e per giunta di un bel color bronzo che si intonava perfettamente con il color terra autunnale, scrollo via un po’ di terra con le dita nei pressi del panchetto, poi decise che era meglio prenderne un altro …
La prossima “invenzione” si disse sarà un bel “ditale magnetico” o anche una fascetta ad anello sul primo tratto dell’indice!
Meglio ancora una “pozione di ringiovanimento” … ma quella sarebbe stata un problema troppo grosso, chimicamente non era nemmeno all’altezza di farsi delle pasture, figuriamoci, troppo mescolare, era la sua natura un po’ indolente quella che inevitabilmente lo portava ad imboccare le strade meno laboriose, ecco come era avvenuto che un difetto si fosse tramutato in virtù!

Andare indietro nella memoria, era un esercizio naturale, naturale per la sua indole, e naturale perché gli anni trascorsi erano ormai di più di quelli che aveva ragionevolmente davanti.
C’era tanta roba da rivedere, la mente si apriva come una di quelle vecchie cassette da pesca di plastica, ormai andate fuori uso, ne alzavi la levetta esterna e poi tenendone ferma la base tiravi su il coperchio, e con classe le levette esterne facevano salire gli scomparti, sfalsati, uno dietro l’altro in modo che risultasse più agevole frugarci dentro.
La cassetta a scomparti … se la raffigurò e ci guardò dentro, fra le tante cose che erano ormai “chincaglieria” spiccavano i galleggianti, non c’era altro oggetto di pesca che potesse competere con il potere ipnotico e abbindolante dei galleggianti!
Nella cassetta giacevano dei datati francesini, ineccepibili nei due abbinamenti classici, dai colori nero e rosso, o verde e bianco, nella loro forma a pera rovesciata, e nello stecchino che li trapassava con la sua punta tricolore su cui alcuni per migliorarne la visibilità a distanza, infilavano una pallina rossa che faceva tanto naso di clown.
In basso lo stecchino aveva l’anellino di rame o di morbida lega in cui far passare il nailon.
A pesca i galleggianti erano dei veri e propri portatori sani di speranza, a casa rivelavano invece l’anima più subdola: l’estetica delle forme e dei colori!
Questa caratteristica ne faceva quasi sempre oggetti da collezionismo, tanto che negli anni si finiva per possederne quantità industriali, anche di forme e colori che mai ci saremo sognati di usare; ma non si poteva mica farci trovare spiazzati … In realtà se ne usavano forse 10 e spesso i soliti, così si finiva anche per usarne di malconci, tanto che a fine pescata avevano spesso bisogno “dell’infermeria”!
Scorse ancora velocemente l’immagine di quella vecchia cassetta con i rocchetti di nailon messi sul fondo, che comunque tu li riponessi con cura, quando andavi a riprenderli denunciavano tutti lo stesso difetto: dell’immancabile nailon a giro …
Le forbici da pesca multiuso erano ancora in forma con bene impresso il marchio Maniago Italy, e avevano tante di quelle opzioni da far invidia a quelle dei boy scout, ma anche un difetto difficilmente aggirabile, l’ago di ferro con cui si finiva spesso per bucarsi.
Spense per un attimo il tran-tran della mente e riprese a trafficare in quel suo laboratorio all’aperto, dove non si pagavano né tasse né utenze, bastava un misero bollettino postale che anche un pensionato si poteva permettere, c’era purtroppo da mettere in conto l’idiozia e la cattiveria del prossimo, ma quella era in ogni dove.
Si guardò attorno sul fiume non c’era anima viva, eppure non faceva ancora veramente freddo, e le abitazioni non erano lontane, ma quel dono di dio era stato abbandonato da tempo, così come si usava fare allora con le cose che si credeva ci appartenessero per diritto acquisito: sfruttato e abbandonato.

Superficiali, Sciocchi e pure Vigliacchi!!
Superficiali nel pensare che la natura era solo da sfruttare.
Sciocchi nel credere che comunque lei stessa o qualcun’altro per lei avrebbe rimediato ai danni che si vedevano.
Vigliacchi, perché spesso si era nascosta la mano che aveva tirato il sasso.
Aveva visto in prima persona l’alluvione di Firenze del 4 Novembre del 66, una delle infinite lezioni che la natura aveva inflitto all’uomo, una città divenuta lago in una notte!
Quando avvenivano quelle catastrofi, si andava sempre a caccia “dell’errore umano” e mai si voleva ammettere che era sempre il medesimo: non rispettare il corso naturale delle cose.
Voler per interesse modificare, cementificare, rettificare, sotterrare, Ingabbiare fra alte mura quello che la natura aveva previsto come cosa mutevole, come cosa viva!
Li l’unica cosa santa da fare per migliorare il rapporto con i fiumi, sarebbe stata quella di “riseminare i contadini” come gli aveva detto un giorno un anziano sul fiume, chissà se questa brutta crisi economica, avrebbe avuto anche un rovescio della medaglia positivo, e se il vecchio proverbio “non tutto il male viene per nuocere”, avrebbe ancora avuto le sue buone ragioni di essere stato coniato.
Poco tempo prima gli era accaduto di sentire alla radio. (cosa già rarissima) un pescatore descrivere il fiume come un “nastro trasportatore” e ai suoi intervistatori aveva aggiunto: “lasciatelo lavorare in pace!” Solo uno che viveva il fiume poteva comprendere quante verità ci fossero in quelle parole …
Gli era anche toccato di vederla morire quella cosa viva … non era una cosa naturale pensò, che un fiume vivesse meno di lui.
Inghiottì i pensieri amari, se erano venuti a galla così prepotenti probabilmente era perché non si riteneva indenne da responsabilità, lui sapeva di cosa aveva e stava godendo …
Aveva vissuto, anche se alla fine, l’epopea della pesca nei fiumi; migliaia di pescatori che la mattina all’alba si riversavano sui fiumi, un’orda anche sciagurata, spesso pure priva di scrupoli per i pesci e per le sponde, faceva tutto parte del bum economico, lo chiamavano così; a rivederla da lontano quella “grazia di Dio”, ottenuta con il sudore vero, della maggioranza dei partecipanti mostrava tutti i sui difetti, anzi si potevano tranquillamente chiamarli danni!
Nel volgere di qualche decennio era sparito tutto, la pesca di massa, il benessere di massa … onestamente ora che ne comprendeva appieno la sostanza, la cosa che più mancava di quelle viste da ragazzo era il rispetto!
Il rispetto per gli altri, era sparito così velocemente che si sarebbe pensato ad una magia …
Guardare di nuovo la corrente gli allentò la rabbia, e sperò con forza che quella vecchia signora, che sapeva come ci si trucca, avesse davanti a se ancora millenni e millenni di scorrere.
Sognò che i nuovi sordi, come chiamava lui i giovani che giravano perennemente con le orecchie tappate dagli auricolari, maturassero un giorno più sensibilità pratica dei padri.
I giovani … quante cose si sarebbero potute raccontare le generazioni stando a cospetto di un fiume; ora gli sarebbe piaciuto più insegnare che pescare … una volta c’erano i focolari … ora il distacco non era solo generazionale, era proprio fisico!

La maggioranza di quei benedetti ragazzi, viaggiava con una manualità impressionante sui tablet in Touch-screen, si sentivano orgogliosi, una generazione digitale, lui gli avrebbe insegnato volentieri come la sensibilità delle dita ha anche altre sfaccettature, i polpastrelli possono scorrere su di un breil di carbonio e comunicare con gli “alieni con le pinne” molto più che un joystick su di un freddo video!
Una canna un filo ed un galleggiante, come da ragazzi ai suoi tempi si usavano due barattoli vuoti e una corda per comunicarsi in “interfono”.
Pochi avrebbero capito che quella attrezzatura da pesca spesso era solo un cordone ombelicale.
Non si illudeva, sapeva che la sua sarebbe stata una guerra persa in partenza.
Lui aveva provato in tutti i modi a tramandarla quella passione che da bimbo gli era parsa così naturale, perché quando era ragazzo lui, era normale con gli amici andare al fiume, l’Arno a quell’epoca era una chioccia e loro dei pulcini diligenti, poi le file si erano diradate: chi aveva smesso, chi più capace si era dato all’agonismo, infilando nei meandri della contesa fra umani.
Lui ci aveva provato ancora a fare adepti, inizialmente con il cuginetto di 15 anni più giovane, poi successivamente con il primo nipote, infine anche con il figlio, per un po’, lo avevano seguito, era più grande, era una guida …
Presto però aveva capito che era illogico insistere, il marchio o lo avevi o non lo avevi.
In dote, a lui e loro, erano rimasti dei frammenti di vita, dei caldi ricordi comuni: qualche spavento mentre erano attaccati con le braccia al suo collo, in attesa che lui riuscisse a scalare la parete di roccia arenaria che lo separava dalla trota impossibile.
Il terrore dipinto sul volto di un bimbo, quando il buio cala nella valle di un torrente mentre il “capo” si è delinquentemente dileguato a monte per andare a catturare i barbi del tramonto.
Il pizzico dell’ortica e dei pruni, le immagini fugaci degli uccelli di fiume, e la capacità rara, per i loro coetanei, di riconoscere una decina di specie di pesci di acqua dolce, e forse un poco di rispetto in più della media per gli altri e l’acqua che scorre!
Anche con le ragazze che aveva avuto come fidanzate, non era andata meglio, con loro la logica era stata spartana nel confermare un’evidente repulsione dell’altro sesso per la pesca, tranne un paio di casi …
Sandra era una ragazza minuta, solare, dai tratti e modi decisi, una bella persona … un pomeriggio estivo mentre prendevano il sole in pieno relax sul rivestimento di una pescaia del torrente che lo aveva visto nascere pescatore, le aveva preparato la montatura e le aveva dato la canna in mano dicendo: “dai prova, qui ci sono molti vaironi, vedrai che è divertente”, lei si era alzata, pigra, aveva fatto il gesto di quella che per amore si prestava al gioco …
Lui aveva gettato una manciata di larve in acqua, nella certezza di un suo rifiuto, non aveva osato farlo fare a lei.
Le aveva visto fare il “richiamo” del galleggiante e il medesimo sparire e tirarsi dietro un bell’arco della canna!!
Ne era venuta fuori una serie impressionante di belle trote iridee, che a sua insaputa erano state oggetto di semina proprio in quella pescaia qualche giorno prima!
Ovviamente nella pesca ci sta sempre una bella dose di “buona sorte”, per gli altri …
In realtà, la piccola, aveva pensato bene di tacergli gli insegnamenti di un nonno pescatore, e di una coppa che aveva vinto da bimba in alcune gare di pesca alla trota in laghetto!!
Dopo le prime due catture si era presa perfino il lusso di criticargli la montatura: “quest’amo è di una misura troppo piccola, o lo ingoiano troppo, o si rischia di slamarle”, e aveva pure ragione!
La seconda che lo aveva sorpreso, era stata Antonella, se la ricordava benissimo: stava in piedi su quel masso con la canna in mano e un’espressione tesa sul viso … non guardava minimamente il galleggiante, ma i piccoli piedi che calzavano delle infradito, costantemente in preallarme, per il probabile attacco di una mostruosa “Lacerta Muralis”, con cui condivideva la postazione, ovviamente la lucertola aveva la sua solita preoccupazione e la cosa andava avanti da un po’ come una partita a scacchi.
Quando il sauro aveva abbandonato la partita, riconoscendo la sua manifesta inferiorità fisica, Antonella si era rilassata e aveva agganciato e portato a riva due (per quel torrente) mostruosi barbi Plebejus, quella volta, in modo molto mellifluo, l’aveva invitata a posizionarsi dove era lui, era un posto più comodo, ci si poteva sedere, (anche se non ci si prendeva niente …) e così aveva potuto prendere il suo posto e i suoi barbi!
Quando qualche anno dopo Antonella portò a riva quella che poteva essere l’ultima Savetta d’Arno, decise di sposarla e levarle la canna di mano!
Del vento gli entrò nel naso, per poi esplodere in un sano starnuto che gli scosse tutto il corpo, e gli tolse i “piedi dal fondo” per farli tornare per terra.
Era ora di pescare, ma la mente voleva ancora godere di quell’interregno che si creava quando stava sulla sponda, e continuava a espandere i pensieri prevaricando una voglia di prender pesci che ancora non era impellente, lì si era fra “sogno e realtà”, se mai un giorno scrivessi un libro sulla pesca si disse, lo vorrei proprio intitolare: “fra sogno e realtà” e più che i pescatori vorrei lo leggessero i contrari alla pesca, i verdi, gli animalisti, vorrei riuscire in una cosa grande, vorrei fargli capire che una cosa prima di difenderla, non basta “conoscerla”, ma bisogna amarla, e per fare in modo che questo avvenga, è necessario un lungo percorso, che in dei momenti ci veda anche sfidarne le “leggi”, appropriarci più del dovuto, perché sono quelli poi i fatti che realmente ci certificano quali sono i limiti invalicabili per una esistenza comune; come per non gettare rifiuti su di un alveo, bisogna esserne stati correi, e averne visti i resti appollaiati sui rami degli alberi dopo che è scemata una piena … sembra Natale, ma i doni non sono un gran che!
Così come per capire quale è un minimo flusso vitale per il fiume, bisogna aver visto all’opera le pompe degli agricoltori o degli “ortolani” durante le estati siccitose.
Come per comprendere cosa è la transfaunazione o l’immissione di pesci alloctoni, bisogna aver peccato con mano e vedere i pessimi risultati del nostro “intelletto” a distanza di tempo.
Insomma questo giro era proprio il caso di pensare che il detto: “non basta una vita per apprendere” fosse proprio falso, perché se frequentavi, avevi la mente aperta e una coscienza media, una vita per comprendere come comportarsi con l’acqua bastava e avanzava, anzi spesso a vederne i risultati pareva persino troppa!! Chiuse l’ultimo giro del nailon doppiato e ne ascoltò lo stock che sanciva la riuscita del blocco dentro il falso occhio, aggiunse due pallini sul terminale e rimirò l’opera, pareva carina, prese l’amo fra le dita e iniziò a dondolarla lateralmente a destra e sinistra per vedere se “strappava” o se ondeggiava in modo armonico, era importante , la sotto avrebbe obbedito alle leggi fisiche del liquido, ma se non era palesemente “bilanciata” almeno sopra, difficilmente avrebbe avuto un andamento idoneo e omogeneo una volta sotto.
La mise in acqua e sorrise nel vedere come il galleggiante entrava “in pesca” e si lasciava solo rimirare l’antenna rossa e gialla, era del tempo ormai che non contava più i pallini di piombo che metteva sul nailon, qualunque fosse la grammatura usata, andava a braccio e seminava sulla lenza quello che gli diceva
L’istinto, gli era accaduto più di una volta di mordere l’ultimo pallino e dirsi: te sei di troppo ma con questa corrente mi sei utile per la trattenuta, e accorgersi che così era!
Non era tecnica, erano meccanismi automatici, quasi inconsapevoli, movimenti, immagini, andate in archivio e lì salvate per sempre!
Non aveva fretta, tanto era certo i pesci erano là sotto, il fiume aveva una portata importante, e la temperatura ancora stabile anche se con valori in discesa, l’autunno era una specie di primavera ritardata, uno dei momenti d’oro per insidiare chi stava iniziando a prendere in seria considerazione una razione di cibo doppia se non tripla, in attesa che il gelo bloccasse l’appetito, intorpidisse i muscoli e il cervello di molti di loro.
Sarebbero rimaste solo “le sentinelle”: i grandi pesci con gli occhi gialli a fare la ronda nelle freddi piane, e lui li aspettava con ansia, sia per la sfida, che per la consapevolezza che ormai gli inverni erano stati troppi perché ne potesse aspettare ancora molti altri.
Guardò lo scorrere da destra a sinistra di quella corrente con occhi più intimi, quel verso la rendeva ancora più naturale, sembrava che i gorghi nella loro marcia scrivessero un libro, e lo invitassero a leggere quelle pagine mai uguali.
Entrò in acqua osservando con attenzione che sul fondo non ci fossero grosse pietre ad impedirne i passi, un inciampo ora avrebbe vanificato tutto, e chiuso subito una giornata che aveva tutti i presupposti per essere piacevole e proficua.
Sopra la testa passò un aereo, brillava come un gioiello e aveva la scia: una cometa meccanica … dopo poco ne avvertì il suono cupo delle turbine, era in ritardo di qualche secondo, e questo, chissà perché, gli fece tornare alla mente, quello che gli era accaduto a 15 anni con la piena di un torrente … meno male che in quel caso era arrivato prima il “rumore”
dell’acqua … sentire il rombo di una piena in arrivo e poi vederne il muro d’acqua che travolge spumeggiando le sponde è una cosa che resta indelebile sulla pelle!
La natura ricordava, lo aveva avvisato più volte … era un bel sereno quel giorno d’estate, ma era tutta la mattina che in lontananza sui monti si sentivano i “tamburi” rullare …
Poi improvvisamente intorno al fiume si era zittito tutto, anche l’acqua pareva fioca, rallentata, improvvisamente vuota di vita … aveva la sensazione che ci fosse elettricità intorno, sentì un “rombo” crescere di intensità, e i sensi si fecero più vivi del solito, era inquieto, ma non sapeva perché … si salvò solo perché casualmente era in sponda e non in acqua e principalmente perché era in un lungo tratto diritto e aperto che gli permise l’avvistamento e la fuga nei campi soprastanti, fosse stato dietro una curva, l’abbraccio del fiume sarebbe stato l’ultimo.
Entrando in acqua si accorse che la tuta gommata, cominciava ad essere non adatta alla temperatura dell’acqua … ma tanto fra poco il sole avrebbe dato una mano, e poi non gli dispiaceva che si andasse verso il gelo, pesci a parte il grande freddo aveva la prerogativa di rendere quasi normali delle sponde vuote, e volendo rincarare la dose, non è che poi gli dispiacesse molto, non vedere quei rari giovani che incontrava, intenti a cimentarsi con una pesca che non era la sua, a vederli piantare quelle corte e robuste canne sui puntali e fiondare in acqua lenze che portavano in dote bocconi massicci come un pezzo di fegato o una treccia di budella … sembravano già dei vecchi si disse, anzi peggio, almeno i vecchi che aveva conosciuto lui da bimbo, facevano quella pesca alla fine di un percorso durato decine di anni, e che a “fine carriera” gli aveva comunque lasciato in dote una conoscenza del fiume che già da sola faceva la differenza.
Ora sparavano lenze a caso, con la ferma certezza che “il mostro” attratto da quei “sanguinolenti” bocconi, sarebbe comunque giunto a destinazione.
Ne aveva incontrati, che venivano e che tornavano via con le pive nel sacco, anche in posti che erano ormai terreni di conquista dei 6 baffi.

Il segreto era vecchio quanto matusalemme, che si trattasse di pesce foraggio o predatori, autoctoni o alloctoni, in qualsiasi stagione, la pesca era più produttiva quando il fiume aveva un livello che riusciva a smuovere il fondo.
Quei ragazzi, erano lontani anni luce, dal ragazzo che negli anni 70-80 stava ore a rimirare i pesci che aveva messo in un acquario da 80lt.
Lo aveva posizionato su di una vetrinetta di fianco al letto nella sua camera. Nel tempo c’era finito di tutto e di più, pesci dalla coesistenza problematica, gente con le pinne che vista la costrizione aveva spesso un rapporto conflittuale con il prossimo, fra gli asociali più temibili scoprì presto che c’erano i Persici Sole, e anche i Pesci gatto che di giorno sembravano delle pecorelle nere, e appena la sera spengevi la luce, si tramutavano in predatori incalliti, roba da serial-killer.
Ci furono anche delle evasioni: tre Tritoni reperiti in una risorgiva in piena campagna e trasbordati nell’acquario, vista la insana compagnia, presero, prima a risiedere nel vano dove un caldo trasformatore convogliava la corrente al neon e poi dopo una decina di giorni si dettero alla “macchia” … li ritrovò incredibilmente mesi dopo, dentro una vasca di scolo coperta da una griglia a maglie larghe alla fine delle scale che conducevano al garage; erano tutti e tre vivi ma molto denutriti.
Ci fu anche l’allarme Anguilla, quando la medesima scomparve dall’acquario, era una bestiola sui 2/3 etti, perciò bella adulta … le donne di casa misero tutto a soqquadro, senza risultato!
Passò una settimana prima che qualcosa di strano nello spessore del ghiaino del fondo attaccato al vetro, si rivelasse la pupilla di un’Anguilla e non uno dei tanti sassolini neri, visto che aveva la tendenza a muoversi… probabilmente aveva preso ad uscire e cibarsi solo di notte come si confaceva alla specie.
Sbracciò, la corta bolognese fece la classica breve corsa che serve per accompagnare la lenza a distendersi a monte, un semplice movimento di polso appena accennato la dispose in modo corretto per abbreviarne il più possibile i tempi di discesa sul fondo.
Era stato un movimento fluido, ma sia la spalla che i tendini dell’avambraccio ancora “freddi” non avevano gradito … sbuffò, era un pezzo ormai che la cosa stava peggiorando, non c’era giuntura che non “scricchiolasse” e non desse fitte dolorose.
In acqua e non, gli anni trascorsi si sentivano; specie gli ultimi, dove aveva dovuto spremersi e fare appello al fisico; la crisi economica, aveva costretto tanti, troppi, a dare il massimo delle proprie capacità anche in età avanzate, fino a mandarne in riserva fissa la pila del benessere.
Peccato non potersi ricaricare come si faceva con i cellulari, o ancora meglio rigenerarsi come faceva il fiume.
Oggi sapeva per la prima volta che se avesse dovuto affrontare un grosso pesce con quella tecnica stando in acqua, avrebbe avuto anche delle difficoltà fisiche, non gli era mai accaduto di pensarlo, ma qualche mese prima una grossa carpa lo aveva messo alla frusta prima di strappare una lenza generosa messa su al momento che l’aveva vista in pastura.
Si era dovuto sedere, con le gambe che tremavano, e non era emozione …
Aveva toccato con mano il suo limite fisico, una esperienza nuova il cui messaggio era chiaro: avrebbe dovuto tenerne conto!
Pensarlo ora lo aveva messo illogicamente di buon umore, “finalmente sarebbe stata una lotta alla pari!”
Un corpo a corpo fisico fra “vecchie lenze”!
Il cenno del galleggiante che transitava poco a valle, gli apparve come l’occhiolino strizzato da un amico, il classico cenno d’intesa fra chi ha ormai un codice in comune.
Spesso quando era molto concentrato, gli sembrava di avere un “compagno di carte”, uno che la sapeva lunga e che spesso parlava a cenni:” striscio e passo … striscio lungo … striscio e busso!
Questa volta non gli aveva dato ascolto, sapeva di essere fuori tempo e non aveva voluto allarmare i condomini di sotto, il galleggiante aveva proseguito “il cammino” tardando a riprendere l’assetto, pareva quasi si fosse offeso per la mancata intesa, in realtà era colpa della parte bassa della lenza, che essendo stata frenata da qualcuno, tardava a riposizionarsi … problemi di equilibrio tra piombi e flusso d’acqua?
Ferrò: un gesto palesemente istintivo che però andò a segno!
A volte accadeva, non era una magia, erano i tanti piccoli pezzetti del mosaico della memoria che si incastravano fra loro attratti da un magnetismo che anticipava la vista e i riflessi.
Era uno dei momenti più intensi della pesca alla passata, era il rigo alla fine delle cifre, quello che anticipava il totale della somma di tante, tante ore trascorse a tu per tu col fiume.
Ora era in contatto!
Guardava quella traccia nera che faceva arco nel celeste dello sfondo chiudersi sempre di più fino ad confondersi con i colori
Autunnali della sponda opposta, era uno dei disegni più belli che un pescatore potesse desiderare: una parabola di carbonio!
Sperò tanto che fosse un grande pesce, che fosse un vecchio pesce, ci si vedeva proprio in “quel dipinto” di madre natura, gobbo sulla canna come se non volesse spezzarne l’armonia della curva, in dei momenti immobile come una diapositiva, componente principe di tanti fermi immagine, sarebbe stato necessario farli scorrere più veloci del naturale per coglierne i movimenti più intimi, proprio come fanno i cineasti con i cartoni animati, lui era un cartone animato pescante, quello sotto invece era suo malgrado, l’attore protagonista di tutta la storia.
Il disegno della parabola si scompose sotto la rifrazione dell’acqua quando dovette gioco forza immergerne i primi due pezzi sotto la sua superficie, era una strategia semplice, imparata nel tempo, quella che consentiva di prendere in mano la situazione, la classica fregatura per il pesce, quella, che se non aveva una taglia spropositata rispetto all’attrezzatura, ne avrebbe abbindolato l’indole, sopendone il terrore con una trazione non più decisa verso la superficie.

Non era l’unico movimento, c’erano anche altre opzioni che conseguivano lo stesso risultato, tutte più o meno orientate ad un allentamento della tensione, ma lui ormai aveva mandato a memoria questa, e non era certo ora il tempo di cambiare.
Più che passava il tempo … ma passava veramente?
Più si sentiva rilassato e padrone della situazione, il pesce in realtà non è che si comportasse da meno, aveva preso a stazionare a centro fiume dove la corrente era decisamente troppo forte perché si potesse pensare di forzarlo senza sortirne un guaio irreparabile, così la cosa si protraeva nel tempo, e lui cominciava a sentirsi come il protagonista di quel racconto di E. Hemingway dove il grande scrittore aveva narrato le gesta di “Il vecchio e il mare” ora sognava di essere la comparsa di quel capolavoro, magari la copia più scipita, ma pur sempre di pesca si trattava!
Che non ci fosse un gigantesco Marlin attaccato all’altro capo del nailon, era scontato, ma non si sarebbe mai sognato di andare a raccontarlo a quel “delinquente con le pinne” che anche se di taglia irrisoria rispetto a quello dell’epopea marina, sembrava essersi immedesimato pienamente nella parte!
Avrebbe voluto gridargli: “tranquillo che non finisci spolpato dai pescecani”!

E pensare che lui un Marlin l’aveva pure pescato, proprio come il vecchio del racconto di E.H. con una lenza a mano del 200 a cui era appeso un’enorme polpo argentato di “gomma”!
Era tuttora il più grande pesce che avesse mai preso, un giovane per la specie, un pesce forse sopra i due metri, valutato fra i 25 e i 30 kg.
Sempre se la memoria non lo ingrassava e allungava troppo, ma in ogni caso, pur sempre un Marlin Blu!
Non aveva il raffio per salparlo e quando lo appoggiò alla poppa della barca a vela, rimase incerto di fronte alla lama del rostro e alle sue pinne falciformi, il tempo di riflettere, e incantarsi a guardarlo, bastò al pesce che su di un rollio della barca si sganciò dall’ unico amo dell’ancorina di coda che gli era penetrato nel foro del naso, ed era tornato libero fra lo sgomento degli altri membri dell’equipaggio, che già lo vedevano come un “trofeo” appeso all’albero maestro, lui aveva fatto un’espressione di disappunto in tono circostanza, ma dentro, si era sentito quasi subito sollevato, quei grandi occhi marroni lo avevano ipnotizzato, languidi come quelli di un cerbiatto, gli erano entrati dentro più di un grido di soccorso, ora scrutavano di nuovo quel mare dove il vecchio del racconto aveva combattuto il grande Marlin; e la grande vela del pesce, si distendeva di nuovo nell’ Oceano Atlantico, dentro le calde correnti delle Antille spazzate dagli Alisei.
Ora c’era l’acqua dolce che scorreva, ed era questo il suo vero mondo, scacciò il sapore del sale dalla bocca, abbandonò i ricordi marini e tornò col pensiero allo sfidante del momento; ci stava pure che si conoscessero di già, magari si erano incontrati da più giovani, magari aveva vinto il pesce
Ecco come apparve il tarlo, nel bel mezzo di una superficiale fantasia … ed ora che era arrivato, si faceva posto fra la sicurezza e l’esperienza, aggirava la padronanza e la consuetudine dei gesti, e si apprestava a far da guastafeste!
Ecco che spronati dal tarlo, gli tornavano alla memoria, i combattimenti più “epici” quelli dove alla fine si era dovuto arrendere, che fosse stato per una sproporzione fra l’animale e l’attrezzatura, per sfortuna, o per un suo errore, non importava, il libro dei ricordi si era spalancato al capitolo “sconfitte” e non ne voleva sapere né di richiudersi né di passare a paragrafi più rassicuranti.
Riapparvero le immagini di quando da ragazzo, con in mano una bolo di fibra da 3,80 metri della Carson; in riva all’Arno sopra la pescaia di Candeli, guardava sbigottito la bobina del suo Cardinal ABU33 non smettere più di girare, il nailon usciva ad una velocità costante, sempre se non provavi a frenarlo, perché in quel caso sembrava di fare il contrario, di dare gas!
L’amo era legato direttamente alla lenza madre dello 0,14 del Triplefish, un bel filo sincero: non era vero il diametro, non era vero il carico di rottura, forse non era nemmeno un filo …
Dopo due giorni di pasturazione, aveva messo su un innesco che non avrebbe mai più usato: uno gnocco alla patata.
Quelli con cui aveva pasturato erano stati gettati in acqua congelati, perché i pesci piccoli, almeno inizialmente, non potessero predarli, mentre l’innesco era cotto quel tanto che bastava perché potesse tenere la presa sull’amo, anche se il lancio era un semplice appoggio sotto la punta della canna.
Era stato il combattimento più avvincente di tutta la sua vita di pescatore, un’ora e trenta a giocare a scacchi con una carpa fuori misura, che prima aveva quasi azzerato il nailon in bobina, fino ad arrivare al muro della pescaia sottostante, poi aveva gioco forza dovuto cambiare direzione, ma lo aveva fatto con la consapevolezza dei propri mezzi e una sorprendente memoria: era tornata sotto la punta della canna, e lui se ne era accorto solo nel momento in cui aveva tristemente finito di recuperare tutta una lenza che considerava ormai “morta” ma era stato solo l’inizio della sfida.
Nel fondo del sotto riva doveva esserci un incaglio, probabilmente un tondino di ferro che spuntava dal cemento armato di un grosso pezzo franato dalla vecchia pescaia; sta di fatto che il pesce passò e ripassò a più riprese sotto quel passaggio, e anche se lui era riuscito a comprenderlo, e trovare le contromosse per disincagliare la lenza, che era già un miracolo, perché vedere un nailon srotolarsi in direzione fondo sotto la punta della canna per metri e metri, mentre sapeva che lì il fondo non arrivava a due, inizialmente lo aveva proprio sbigottito; alla fine la lenza usurata da quegli sfregamenti aveva ceduto, e lui, da sconfitto, aveva fatto un inchino al pesce e alla sua capacità di condurre un combattimento fatto più di scaltrezza che di potenza, e gli aveva promesso il “solito” nuovo incontro, che non sarebbe mai avvenuto.
Forse non era un caso se dopo trenta anni, possedeva ancora sia la canna che il mulinello con cui aveva condotto quella sfida.
Ma il tarlo non era soddisfatto, del “legno morso” voleva infierire, ed allora aveva pensato bene di riproporgli quei 15 minuti di battaglia con la 7 metri della Colmic-Fiume, minuti che nonostante fossero supportati da un nailon dello 0,128 legato direttamente ad un amino del n°24 ad occhiello, non erano bastati per mettere la bocca di quel grosso cavedano, fuori dalla superficie dell’acqua; il pesce sicuro della propria fisicità era venuto pure a far dondolare una vetrice a mezzo metro dai suoi piedi, in 50 centimetri di fondo. L’acqua era appena velata e lui si era dovuto accontentare di intravedere una lunga e generosa ombra che di lì a qualche istante si sarebbe piantata sul fondo a due metri da lui ad impegnarlo in un braccio di ferro terminato con una secca slamata!
Da allora aveva imparato a non combattere mai più così un grosso cavedano, anche se aveva terminali reputati generosi, quelli di taglia, se aveva l’opportunità, li faceva sfogare, per non ritrovarsi come quella volta, ad essere lui quello che aveva abboccato!
Ora iniziavano a dolergli le spalle, aveva dei cenni di tremore agli avambracci, erano dei piccoli scatti nervosi, che non presagivano niente di buono; intanto il tarlo rodeva di brutto, e gli metteva addosso dei panni estivi, una leggera canna da ledgerin e un’altra carpa agganciata di nuovo al nailon dello 0,14 questa volta in una cava libera; aveva allamato il pesce pescando con un micro-galleggiante e la lenza appoggiata sul fondo, che mancavano pochi minuti alle 10, ne aveva rotto il legame talmente tante ore dopo, che c’era stata gente che era andata a pranzo a casa ed era tornata a vedere come era finita trovandolo ancora con la canna piegata dal medesimo pesce!
C’era chi aveva tifato con cuore perché riuscisse nell’impresa e chi aveva giustamente rilevato che una canna cosi leggera con quel filo non avrebbe avuto scampo; sta di fatto che la rottura era avvenuta per un suo errore, dopo 4 ore e 12 minuti cronometrati da un ultras del momento!
Ne passò del tempo, prima che quello allentasse il “trapanare”, ora che si sentiva più calmo, alla fine del capitolo “sconfitte” gli apparve anche il paragrafo minore: “sconfitte cercate”!
Ne aveva diverse anche di quelle, ma una su tutte gli era proprio dispiaciuta, riguardava anche questa volta una grande carpa selvatica, una specchi per l’esattezza.
Era solito pescare dei grossi e divertenti barbi stando con la bolognese in piedi su di una pedana nel fiume Serchio, era una pesca mandata a memoria, e talmente fruttuosa che non sentiva minimamente la pressione delle catture; tanto che spesso ci andava la Domenica mattina con la famiglia, in pieno relax per poi pranzare sul fiume.
Nel pasturare con la fionda, numerosi bachi cadevano nei pressi della pedana, e una carpa alta come un comodino, veniva regolarmente a rigovernare tutto il fondo.
La cosa si ripeteva da tempo, tanto che quel pesce era diventato una compagnia talmente abituale, che spesso arrivava ad un palmo dalle gambe della pedana, era un animale imponente, dalla struttura corta e massiccia, si era incantato più volte ad osservarne la grande bocca estroflettersi, e ne aveva guardato ammirato le grandi fosse che la medesima lasciava nella rena del fondo.
Le carpe nonostante tutte le disavventure, non erano, e non sarebbero mai state la sua mira, ma quella se la stava cercando, e un giorno gli scoccò la scintilla, avrebbe provato a catturarla, ma in un modo inconsueto: lo avrebbe fatto nello “stile” Sampei: quello dei cartoni animati, proprio così, voleva un corpo a corpo. Ovviamente non aveva pensato di tornare bimbo e prenderla con le mani, no, perché era impossibile, già a 5kg una carpa non era più gestibile solo con le mani, aveva semplicemente e follemente deciso di combatterla con una corta canna di 2 mt fornita di un elastico generoso, a cui era collegata una lenza il cui rocchetto non riportava più visibile la scritta del diametro, probabilmente uno 0,40 che aveva legato direttamente a un grosso amo del n°2 su cui aveva in mente di schiacciare una palla di bachi incollati! Non avrebbe mai pensato, come invece era poi avvenuto, di conoscere un giorno il “garista” fiorentino che insieme ad un suo collega aveva inventato quella diabolica soluzione.
Non aveva mai pescato con un “spondino” come i garisti dei laghetti chiamavano quel tipo di tecnica, ma gli sembrava una cosa semplice.
Lui, più che la cattura, voleva farsi rimorchiare in acqua a giro per la piana, voleva farsi trasportare da quel traghetto con le pinne, come fosse andata poi a finire non gli importava, anche se sapeva che avrebbe combattuto, e che sarebbe stato pronto anche a farsi trascinare sotto l’acqua!
Sta di fatto che una Domenica mattina con figlio e moglie al seguito, corredato di macchina fotografica e capiente guadino, aveva preso a fare la solita pesca a bolognese pescando i barbi staccato dal fondo sulla scia della fiondata; caricando la fionda in eccesso, otteneva senza pensarci, una ritmica caduta di larve, cioè la solita pasturazione sufficiente anche per la carpa.
Pescò e rimase ad attendere l’arrivo del grosso Ciprinide, cosa che puntualmente si era ripresentata, così aveva posato la lunga bolognese, aveva preso la corta canna, e innescato la diabolica palla di bachi incollati grossa come un pugno; la carpa era giunta tranquilla sul boccone e lo aveva aspirato in una sola botta, poi era rimasta per qualche secondo ferma prima di allontanarsi con flemma dalla pedana, l’elastico si era teso; con la canna protesa in avanti, lui si era abbassato sulle ginocchia pronto al varo, ma quando l’elastico era arrivato alla massima estensione, la carpa probabilmente aveva sentito l’amo penetrare, ed aveva dato una grande codata, slamandosi e rimandando con un secco tonfo tutto al mittente!
Aveva palesemente fallito una occasione unica, non aveva ferrato con decisione, e probabilmente aveva esagerato con le dimensioni del boccone, non per le capacità della carpa, ma per quelle del grosso amo di trapassare tutto e penetrare in modo efficace nella bocca del pesce.
Anche allora aveva promesso rivincita, ben sapendo però che i pesci, alle voci dell’aria danno poca importanza, per loro contano solo le esperienze vissute.
Alle “imprese” durate ore e poi andate a buon fine, ora preferiva non pensare, era fermamente convinto che portasse male, poi per esperienza vissuta, sapeva bene che le catture più grandi si facevano a buio: erano quei grandi pesci che chi sa come, a notte fonda uscivano dalla federa del cuscino …
Ora, poteva anche calcolare che si fosse passata l’ora di lotta, non aveva l’orologio al polso, dopo tanti cinturini macerati ora cercava di evitarlo, ma l’orologio dei dolori batteva i minuti altrettanto bene, aveva provato a passare la canna sull’altro braccio, e si era accorto che quello che aveva impugnato la canna fino a quel momento, non si voleva raddrizzare, rimaneva piegato e se provava a distenderlo anche piano, il dolore si faceva acuto, tanto valeva che ci riposizionasse la canna!
Passò altro tempo, troppo, ormai delirava, parlava a terzi, come se avesse un pubblico a guardarne le gesta, pareva ci fossero per lo più giovani, e lui voleva far capire a quelli che non avevano le rughe, di come quello scorrere che aveva davanti fosse un’altra cosa di quello sullo schermo dei tablet, lì non c’erano cristalli liquidi, ma un liquido di cristallo!
Ora più che mai umanizzava il pesce con cui stava lottando, anzi era ormai certo che quella storia avesse un fondamento serio, erano entrambi animali ed avevano tutto in comune: istinti vecchi come la paura, sensibilità fisiche come il dolore, sentimenti come la rabbia, la disperazione, come il rispetto e la resa; il sogno era sempre più realtà come il bianco della pancia del pesce, vinto e sfinito come lui.
Il cuore che gli batteva all’impazzata gli annebbiava la mente, tanto che non si rendeva conto se il suo accelerare fosse dovuto più allo sforzo o all’emozione; quando il grosso pesce entrò nel guadino, si guardò intorno, era solo, non c’era tutta quella gente che aveva visto nel “delirio” dell’azione, fu allora che decise, in un attimo in cui l’adrenalina era padrona della ragione: l’avrebbe scritto quel benedetto “libro”, l’avrebbe scritto per chi non c’era, e per chi non conosceva quello che si sarebbe perso, che l’inchiostro si facesse avanti con i suoi ricami sul foglio tanto simili ai mulinelli dell’acqua.

A.Z.
Queste 11000 battute o poco più, che avete appena letto, sono nate non solo dalla voglia di lasciare una traccia della mia esperienza; ma principalmente come un invito ai più giovani a guardarsi nell’acqua di un fiume.
La memoria e la penna hanno giocato sul foglio una partita senza schemi, una partita di quelle giocate in periferia, che per essere ricordate hanno bisogno del passa parola, un po’ come la pesca ormai.

Spero abbiate gradito, serene feste e sempre “In culo alla Balena”, anche se poi, a pensarci bene, è un mammifero …

Edited by zaccaria.austral - 14/12/2014, 11:39
 
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view post Posted on 6/12/2014, 07:57
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Pescatore della Domenica

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Stampato, fascicolato e già iniziato a leggere alla sera prima di addormentarmi... proprio come dici tu: "Tra sogno e realtà".

Manca solo una copertina rigida, ed una firma con la biro in fondo...

Grazie Zac, veramente un bellissimo regalo.

:prega:
 
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view post Posted on 10/12/2014, 09:50

Elsaiolo

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Bel racconto Zac...sei davvero l'Hemingway di noantri...grazie per l'emozionante testimonianza
Buone feste anche a te e in culo alla brinata!
 
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view post Posted on 10/12/2014, 19:41
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ho una bassa tolleranza......

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Me lo sono già letto un paio di volte e seppure con qualche differenza dovuta all'ambiente diverso ci ho trovato parecchie similitudini con la mia vita vissuta tra un corso d'acqua e l'altro....Belle pagine..buone feste anche a te Zac!!!
 
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view post Posted on 10/12/2014, 21:55
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Letto......che dire..tutto molto bello....anch'io ho trovato un sacco di similitudini...grazie per il tuo regalo Zac....Buon feste!!!!
 
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view post Posted on 10/12/2014, 23:51
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CITAZIONE (massimo.magrini @ 6/12/2014, 07:57) 
Stampato, fascicolato e già iniziato a leggere alla sera prima di addormentarmi... proprio come dici tu: "Tra sogno e realtà".

Manca solo una copertina rigida, ed una firma con la biro in fondo...

Grazie Zac, veramente un bellissimo regalo.

:prega:

Vedi? Non sono il solo.... :ok:
Io la copertina ce l'ho, ma semi rigida
E alla firma sul primo figlio, sotto il titolo, ci avevo già pensato anch'io
Fra poco non ci staranno più fogli
E rilegare il "volume primo" sarà il passo successivo

Oltre a "buone feste" auguro a me, a Zaccaria e a tutti almeno cento di questi volumi!!
 
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france.bonu
view post Posted on 12/12/2014, 01:27




Bel racconto, lo scorrere dell'acqua ,ascoltare il suo fruscio, rilassarsi sgombrare la mente e sentirsi come in un altro mondo, queste sensazioni sono qualche cosa di unico ,ma devi avere già dentro di te tutto questo ... Molti guardano il fiume e non li da nessuna emozione , vedono solo acqua non riescono a capire ciò che almeno io ,ma penso quasi tutti i pescatori provano quando vedono un fiume... Grazie a te zac io ho iniziato ad amare la pesca,probabilmente perché con pochi consigli mi hai cambiato la concezione di pesca :) grazie di tutto e ho riletto il tuo racconto due volte spero di leggerne altri ,e di ritrovarti presto sul serchio
 
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view post Posted on 12/12/2014, 12:12
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in attesa del big!

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ci sono talmenti tanti "passaggi" che sento miei che sarebbe troppo lungo citarli tutti. Domani inizia la fiera di Ferrara, se non dico tutti ma almeno una parte dei partecipanti vivessero la pesca come l'hai magistralmente descritta sarei un pò meno pessimista sul futuro della nostra passione...dici bene Zac, "per difendere una cosa non basta conoscerla, bisogna amarla"...buone feste anche a te!
 
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view post Posted on 13/12/2014, 22:11
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Nostalgia della Savetta.......

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E' qui di fianco a me stampato per bene e me lo assaporo lentamente come un buon cognac ;)
Zac già lo sa !
Se mai scriverà il libro voglio la prima copia con la dedica , altrimenti lo diseredo :lol:
 
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view post Posted on 14/12/2014, 11:38

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Bellissimo, addirittura struggente, se esci col libro comunicalo perché sarei veramente curioso di leggerlo.E' l'essenza della pesca per la, generazione di noi sopra agli anta.
Grazie!
 
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zaccaria.austral
view post Posted on 14/12/2014, 12:00




CITAZIONE (Mariopoggibonsi60 @ 14/12/2014, 11:38) 
Bellissimo, addirittura struggente, se esci col libro comunicalo perché sarei veramente curioso di leggerlo.E' l'essenza della pesca per la, generazione di noi sopra agli anta.
Grazie!

Per Mario e per gli altri che me lo richiedono.

Guardate che quello che avete appena letto è tutto quello che la pesca e principalmente l'acqua sono state e sono tuttora per me.
Non sono uno scrittore, e non posseggo altre nozioni sulla pesca (oltretutto praticamente solo pesca alla passata) che non quelle che settimanalmente trascrivo.

Perciò dovete accontentarvi di queste pagine, perché un "libro-vero" di quelli che le case editrici ti pubblicano , ma anche in Internet, non sarei mai in grado di scriverlo.
E poi come dovrei intitolarlo: "fra sogno e realtà?"
Per quanti, anche pescatori, l'attività della pesca è questa comunità di lettere?

Posso solo dirvi questo, ho salvato sul desktop del mio PC il racconto, e spesso come passatempo ci metto mano, aggiungo levo, faccio esercizio di memoria e di riflessione con me stesso, se fossi stressato( e per fortuna non lo sono) direi che sto facendo una auto-terapia. :D :D
Magari quando fra qualche anno arriverò alla agognata pensione, questo racconto avrà 20000 battute invece di 11000 e me lo stamperò anche per me.

Mi resta solo da scrivervi altre quattro parole:

Siete della bella gente.

:yes:



 
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view post Posted on 15/12/2014, 18:14

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Va bene lo stesso. Aspetteremo altri aggiornamenti, se ne avrai voglia, e questo scritto lo lasceremo nel computer e soprattutto lo terremo nei nostri pensieri.
 
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view post Posted on 20/12/2014, 22:45
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:clap1: :clap1: ...bella storia Zac, hai fatto bene a scriverla!
 
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view post Posted on 21/12/2014, 15:12
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Mi piacciono solo grossi e quelli che svuotano la bobina in fretta...

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Un giorno con calma leggerò questo scritto....ovviamente sulle rive del fiume in attesa che il Baitrunner ceda filo all'avversario........Tanti Auguri.....
 
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pescastella
view post Posted on 4/3/2015, 22:34




Incantato
 
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