| "Fino all'ultima guerra, da Varallo Pombia a Galliate c'erano 600 cercatori, anche di più. Allora sì che conveniva! Una giornata di lavoro era dalle quattro di mattina alle nove di sera, ma se era una giornata buona se ne trovava dieci o 15 grammi a testa. Ce n'era molto di più di oro, perché le piene erano più forti di adesso... era dieci volte la paga di un operaio. Mio padre era uno dei più grandi cercatori di Oleggio, aveva due dipendenti." (Testimonianza raccolta dalla voce di Umberto Caletti, Loreto di Oleggio, 1983).
Non sarà stato sicuramente nell’83 (avevo sette anni), ma ricordo precisamente di aver avvistato nei primi Anni ’90 qualche cercatore d’oro (probabilmente uno degli ultimi), proprio nei pressi di Oleggio. Incuriosito dalla sua strana tecnica di pesca, chiesi a un anziano baffuto del luogo - che mi chiamava “Sbirulino”, non ho mai capito perché, ma forse tutti quelli che non conosceva li chiamava “Sbirulino”… - cosa stesse cercando di fare, armeggiando in acqua bassa con una bacinella colorata con il fondo sostituito da una rete metallica. “Sbirulino, sta cercando l’oro!”, mi risposte l’anziano, e subito quell’immagine andò a incastonarsi in qualche meandro della mia memoria visiva, arricchendo ulteriormente la reputazione del fiume che non avrei più smesso di amare nel corso della mia vita.
La giornata di pesca trascorse piacevolmente, tra una distrazione e l’altra provocata dal cercatore. Ogni tanto gettavo lo sguardo verso la strana figura, immaginando chissà quali pepite intascasse ad ogni “scolata” di ghiaietto. In verità si trattava di piccole porzioni di qualche decimo di grammo, probabilmente più piccole di una squama. Io mi accontentavo della mia prima Daiwa, una 5 metri fissa in fibra di vetro. Gambe in acqua e cosciali di gomma, per raggiungere la linea di pesca. Sotto ai piedi un indescrivibile spettacolo della Natura. Timide tinche che facevano capolino dai ciuffi d'erba sommersi, savette abbaglianti, cavedani che si rincorrevano e barbi che stisciavano il dorso sul raschio e "spanciavano". Presi anche due pesci che non conoscevo, il vecchio mi disse che erano lavarelli, mi offrì ventimila lire pur di farli finire assieme a burro e salvia nella padella di casa sua. "Sbirulino! Quelli dalli a me, ti dò due deca così ti compri la pastura per la prossima volta...".
Per più di 25 anni non ho più pescato in quel luogo, per motivi di pescosità che non ho nemmeno voglia di scrivere.
Qualche settimana fa, invece, quel ricordo di scaglie dorate è tornato a bussare ai miei pensieri. Mi sono immedesimato nel cercatore d’oro, nella sua sfida con probabilità di successo infinitesimali, quasi ridicole. L’ho fatto nel migliore dei modi, pescando a canna fissa, con quella Daiwa da 8 metri che negli Anni ’90 non potevo sicuramente permettermi e per la quale non osavo chiedere aiuto ai portafogli di mamma e papà. La 1030 era stupenda, bellissima, inarrivabile, costosissima. Dopo un quarto di secolo di pazienza, la 1030 è diventata raggiungibile, ancora costosa, ma sempre stupenda, bellissima.
E ancora una volta, l’affascinante Ticino “mi ha fatto fare un giro col suo bel gilet”, regalandomi la possibilità di ammirare di nuovo il suo nuovo rarissimo oro… l’oro del Ticino, immortalato e rilasciato, cosa che un vecchio cercatore d’oro non avrebbe mai fatto.
Ne sono cambiate, di cose, in un quarto di secolo…
|